D’Alema ha centrato il problema
quest’informazione è malata
e il sano e il diversamente intelligente è lui
DIVERSAMENTE INTELLIGENTI di Oliviero Beha
Sono da sempre un coetaneo di Massimo D’Alema, e fin qui si spiega facilmente, ma anche un suo estimatore sia pure non in senso strettissimo. Noto quindi con una punta di dispiacere che dopo il tripudio delle domande postegli qui da Travaglio evase per modo di dire, la faccenda di Bersani, Penati e compagnia cantante e forse confessante e solo parzialmente dimettente, l’ha un poco oscurato dalle prime pagine. Solo un poco, giacché è noto anche se non conosciuto (distinzione filosofica familiare alla Normale di Pisa dove ha studiato senza dar loro la soddisfazione volgare di laurearsi) che dietro il Pd, sempre e comunque, c’è lui. Hai voglia a tenerlo basso, a dire che si è ridotto a essere “soltanto il presidente del Copasir”. L’intelligenza non si misura sulle cariche, anche se non gli sarebbe dispiaciuto cinque anni fa finire al Quirinale. Poi l’invidia degli uomini, partiti e arrivati, specie di coloro che gli erano magari vicini, l’ha tenuto lontano dal Colle. Non per questo ha mollato, né sagacemente si è fatto intrappolare da quella “iena inquirente” della Forleo sulle scalate bancarie intercettate, e neppure ha abdicato subito dopo dal ruolo e dalla responsabilità di “king maker” nei confronti di Veltroni, primo leader stagionale del Partito democratico a fusione fredda di Ds e Margherita, o di Bersani, lo stesso appena citato a proposito di Penati, il segretario che dice con chiarezza oculistica “bisogna tenere gli occhi aperti”. Se lui fa l’ottico, D’Alema quando si toglie gli occhiali, come si è visto giorni fa, è per mostrare i muscoli alla stampa, con la quale ha un rapporto come si sa conflittuale da sempre. Lui è diversamente intelligente da loro. E io – il coetaneo estimatore in senso vagotonico –, sono d’accordo con lui. So di dare un dispiacere ai colleghi ma come si fa, ripercorrendo quindici anni di intemerate che testimoniano di un disprezzo autentico e radicale per la stampa, a non dargli ragione? Dai tempi in cui diceva che “i giornali andavano lasciati nelle edicole”, alla ripetuta definizione di “iene dattilografe”, alla recente formula dedicata a questo giornale “tecnicamente fascista”, D’Alema ha centrato perfettamente e con cospicuo coraggio intellettuale il problema: quest’informazione è malata, e il sano e il diversamente intelligente è lui. Concordo, anche perché contrariamente a molti suoi colleghi – intendo e intende lui subalterni, naturalmente – non ha mai piazzato direttori, conduttori, editorialisti (anche giovani neoassunti? Sì, anche loro...) in tv, nei giornali, ovunque potesse nel sistema mediatico che detesta. Gli altri sì, lui no. Come avrebbe potuto, visto il disprezzo che giustamente riserva a questa categoria di straccioni? Dunque nessuna ipocrisia dal cosiddetto leader Massimo, né quando è alla ribalta né adesso che gioca una partita più da committente che da autocommesso. Sono certo quindi che Massimo prenderà in seria considerazione questa mia modesta proposta: rinunci alla pensione che gli paga l’Inpgi, il nostro istituto, facendolo figurare da giornalista per la pensione appunto con contributi detti figurativi che paga per lui la cassa comune, cioè l’insieme delle iene. Sarà un leader d’esempio anche in questo di un folto gruppo parlamentare che contempla giornalisti di complemento come Fini e Veltroni, Gasparri e Mastella e una scia di gente dalla doppia pensione. Rinunci: perché mischiarsi ai nostri privilegi, lui che da politico ha già i suoi e in dosi industriali tanto da far saltare la mosca al naso di un popolo ridotto allo stremo? Dai coetaneo, uno sforzino e ce la fai, tirati fuori dal brago di questa stampa “tecnicamente fascista”....
Nessun commento:
Posta un commento
Aiutiamoci e Facciamo Rete, per contatto ...
postmaster(at)mundimago.org