Loro
sono quelli che col pugno chiuso contro il cielo svegliarono il mondo
dai gradini di un podio olimpico. 16 ottobre 1968, i giochi di Città del
Messico, un pomeriggio caldo e nuvoloso.Tommie Smith e John
Carlos, primo e terzo nella finale maschile dei 200 metri, sollevano il
pugno guantato di nero e portano il Black Power dentro il recinto sacro
dello sport.
Ascoltano l'inno senza scarpe, calzini neri , testa
bassa.
Alfieri di una razza povera e discriminata cui l'America
concedeva dignità solo in cambio di successi sportivi. Con quel gesto
entrarono nella storia, nella memoria e nei poster di una
generazione.Icone di un'epoca di grandi cambiamenti che due atleti
infiammarono pacificamente nel momento più alto della loro
carriera,pagando quell'atto di coraggio civile con l'isolamento e
l'ostracismo per tutta la vita.Tommie Smith era nato a Clarksville, in
Texas, il giorno dello sbarco in Normandia. Cresciuto riempiendo ceste
in una piantagione di cotone, si era iscritto all'università vendendo
macchine e studiando la Costituzione e i discorsi di Thomas Jefferson.
Correva veloce in pista, lo chiamavano Tommie Jet e lo paragonavano a
Jesse Owens, il campione afro-americano che nel '36 aveva tolto il
sorriso a Hitler dominando le Olimpiadi di Berlino nonostante la pelle
scura. Lui però non voleva essere come il grande Jesse, cittadino
emerito quando vinceva e negro il resto dell'anno.
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