Tempi duri per la stampa indipendente in Marocco
Jacopo Granci
Chiusure arbitrarie di giornali, sequestro di centinaia di migliaia di copie, intimidazioni a giornalisti, editori e direttori. Il regime marocchino, a dieci anni dall'ascesa al trono di Mohamed VI, fa quadrato attorno alla monarchia e chiude gli spazi di transizione democratica.
Lunedì 28 settembre, nel tardo pomeriggio, una ventina di poliziotti hanno occupato i locali del quotidiano indipendente Akhbar Al Youm. Dopo aver costretto il personale rimasto ad abbandonare il proprio posto di lavoro, la Securité Nationale ha sequestrato gli archivi, messo i sigilli alle porte di ingresso e congelato il conto bancario del giornale. Sotto accusa la pubblicazione di una caricatura del Principe Moulay Ismail sul numero di domenica 27 settembre.
Nel disegno, il cugino del Re è ritratto seduto sull’ammaria, mentre saluta gli invitati alla propria cerimonia nuziale. La stella a cinque punte della bandiera marocchina, visibile solo a metà sullo sfondo della vignetta, è leggermente deformata. All’apparenza si direbbe una stella di David. Quanto basta al ministero dell’interno per emettere un giudizio di condanna, preventivo e arbitrario, nei confronti di Akhbar El Youm, violando così tutte le procedure del caso. Nessuna legge in questo paese infatti autorizza la chiusura di un giornale prima che venga emessa una sentenza della magistratura. Nessuna legge ne autorizza il sequestro dei beni, tra cui le copie ancora in corso di pubblicazione, al di fuori dell’oggetto di indagine.
Pertanto un’azione giudiziaria è stata subito avviata, sollecitata dallo stesso ministro dell’interno. Il caricaturista Khalid Gueddar e il direttore della pubblicazione Taoufiq Bouachrine sono stati interrogati dalla polizia e dai servizi segreti per due giorni consecutivi. Due giorni di insulti e provocazioni, a seguito dei quali sono stati ufficialmente incriminati. Un comunicato emesso il 1 ottobre dal procuratore di Casablanca accusa i due giornalisti di violazione degli articoli 38 e 41 del Codice della stampa, e dell’articolo 267 del Codice penale. Bouachrine e Gueddar sono ritenuti colpevoli di «antisemitismo e incitazione al crimine», di «mancato di rispetto dovuto ad un membro della famiglia reale» e di «oltraggio alla bandiera nazionale». Le pene a cui vanno in contro oscillano dai tre ai cinque anni di prigione, oltre a un’ammenda di 10 mila euro. In più il Principe Moulay Ismail ha denunciato personalmente il giornale. Per l’offesa subita ha chiesto un risarcimento di 300 mila euro. Di fatto una sentenza di morte per Akhbar Al Youm. Il verdetto del tribunale di prima istanza è atteso per la fine di ottobre [salvo ulteriori rinvii]. Intanto i locali restano sotto sequestro, i dipendenti senza lavoro e senza stipendio.
La redazione del giornale ha ricevuto l’immediato sostegno dei colleghi della stampa indipendente e delle associazioni per i diritti umani. Ma non si fa troppe illusioni. Il clima che si respira in Marocco porta a temere il peggio. Proprio in questi giorni il direttore del settimanale Al Michaal è stato condannato a un anno di carcere dal tribunale di Rabat per aver osato mettere in dubbio lo stato di salute del Re. Secondo il giudice, nell’edizione del 3 settembre, Al Michaal ha pubblicato «notizie di natura falsa e tendenziosa», volte a destabilizzare il regime. Altri due quotidiani, Al Jarida Al Oula e Al Ayam , sono stati citati in giudizio con le stesse accuse. Il processo, ancora in corso, si concluderà probabilmente con nuove pesanti condanne. Nell’agosto scorso, infine, centomila copie dei settimanali Tel Quel e Nichane sono state sequestrate e distrutte dalla polizia, senza alcuna autorizzazione legale. L’edizione conteneva un sondaggio, realizzato in collaborazione con Le Monde, sull’opinione espressa dai marocchini in merito ai primi dieci anni di regno di Mohamed VI.
Khalil Hachimi, presidente della Federazione marocchina della stampa e dell’editoria, guarda con timore i recenti attacchi ai giornali indipendenti. «I colpi sferrati dal regime si susseguono con un ritmo mai toccato negli ultimi dieci anni». Dall’ascesa al trono di Mohamed VI, la libertà di espressione sembra vivere il suo momento più nero. Diritti considerati ormai acquisiti vengono pericolosamente rimessi in discussione, frutto di una strategia che mira a intimidire le voci scomode, sollevatesi sempre più forti e numerose dopo la morte di Hassan II.
Il giornalista Karim Boukhari è ancora più esplicito, e dalle colonne di Tel Quel dichiara: «Il potere ha decretato guerra alla stampa indipendente». Una guerra, tuttavia, presuppone due belligeranti, due parti in causa che dispongano di forze più o meno equivalenti. E in questo caso la disparità delle risorse è fin troppo evidente. Più che una guerra si tratta di un massacro unilaterale.
Di questo passo rimane da chiedersi che fine farà il processo di transizione democratica intrapreso dal Marocco negli anni novanta. Senza libertà di stampa [quindi di espressione e di opinione] e senza garanzie giuridiche la parola democrazia si svuota di ogni significato. In un paese in cui i vertici dello Stato possono reprimere illegalmente, nella totale impunità, chiunque si dimostri irriverente nei confronti dell’istituzione monarchica, c’è ancora spazio per tali garanzie e libertà?
.
Nessun commento:
Posta un commento
Aiutiamoci e Facciamo Rete, per contatto ...
postmaster(at)mundimago.org