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mercoledì 22 giugno 2011

l’Italia potrebbe non reggere alla scure dell’Europa




l’Italia potrebbe non reggere alla scure dell’Europa


l’Italia potrebbe non reggere alla scure dell’Europa: con tagli da 40 miliardi sulla spesa sociale rischiamo di precipitare a livelli da terzo mondo. A lanciare l’allarme sono Marino Badiale e Fabrizio Tringali: se l’Italia – come prevede la Corte dei Conti – non riuscirà a rientrare dal maxi-debito nei tempi previsti da Bruxelles, «una delle conseguenze dell’impoverimento materiale e culturale che ne risulterà, sarà che non saremo più in grado di competere sui segmenti del mercato ad alta specializzazione», avvertono i due analisti. Quale potrà essere il ruolo di un’Italia impoverita e depressa? Forniremo «forza lavoro dequalificata e sottopagata» o, peggio, fungeremo «da discarica per i rifiuti della parte più forte dell’Europa, e da fornitrice di servizi finanziari occulti tramite le nostre mafie».


Uno scenario apocalittico, già evocato dai più pessimisti, tra cui Paolo Barnard nel suo saggio “Il più grande crimine”, che profetizza la fine del welfare. Dalle pagine di “Megachip”, Badiale e Tringali si preparano a una possibile uscita di sicurezza: l’addio all’Unione Europea, se dovesse imporre ad ogni costo la politica di rigore messa a punto dai grandi banchieri, imponendo sacrifici storici a popolazioni sull’orlo del collasso, come quella greca. «Il tema dell’Europa – scrivono i due analisti – diventerà uno dei punti cruciali della discussione politica in Italia nei prossimi mesi, perché le nuove regole europee in tema di finanza pubblica hanno conseguenze durissime per l’Italia». Pietra miliare, la recente riforma che il Consiglio europeo ha varato lo scorso 24-25 marzo: «Gli accordi introducono nuove regole di governo delle finanze pubbliche dei paesi dell’Eurozona, con lo scopo di garantire la stabilità dell’Euro e di far ripartire la crescita del Pil»...


Il problema che le nuove regole europee si propongono di affrontare è quello del debito pubblico di alcuni paesi europei, i famigerati “Piigs” (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna). La crisi esplosa nel 2007 negli Usa e poi dilagata nel resto del mondo si è trasformata per questi paesi in possibilità di “crisi del debito sovrano”, cioè in una possibile incapacità di onorare il loro debito. Prima causa: la trasformazione dei debiti privati in debiti pubblici, tramite varie forme di aiuto al settore finanziario adottate dai diversi paesi, aggravata dalla crisi dell’economia reale, con drastica riduzione del Pil. «Questa situazione – spiegano Badiale e Tringali – ha generato una dinamica negativa del rapporto debito-Pil che si teme possa sfuggire al controllo». Gli investitori sono spaventati e chiedono interessi sempre più alti per sottoscrivere le nuove emissioni di titoli di Stato dei paesi in difficoltà, uniti a manovre speculative che accentuano le difficoltà. «Il risultato è che il debito continua a crescere, fino al rischio di insolvibilità».


Drastica la road-map del nuovo “patto di stabilità e crescita” disegnato dall’Unione Europea. Obiettivi: raggiungere il pareggio di bilancio in soli 5 anni, e ridurre il debito per un importo annuale pari ad un ventesimo della cifra eccedente il rapporto del 60% fra debito e Pil. I Paesi in difficoltà potranno accedere a prestiti speciali in base all’European Stability Mechanism, mentre l’“Euro Plus Pact”, un accordo iper-liberista per rilanciare la competitività, impone agli Stati membri di rivedere diversi aspetti della legislazione nazionale nel campo del lavoro: nel mirino salari e pensioni. Già avviato il “Six Pack”, con misure anti-sforamento e spinte verso le privatizzazioni, come quelle contenute nel “Semestre Europeo”, speciale procedura di sorveglianza multilaterale dei bilanci nazionali: dal 2011, si punta innanzitutto sul taglio delle pensioni.

«Si stanno elaborando misure ulteriori che toglierebbero agli Stati ogni residua forma di sovranità sull’economia», accusano Badiale e Tringali. Il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha proposto che le autorità dell’Eurozona possano avere «il diritto di veto su alcune decisioni di politica economica a livello nazionale». In particolare, Bruxelles dovrebbe poter bloccare qualsiasi decisione di uno Stato che riguardi «le principali voci di spesa del bilancio e gli elementi essenziali per la competitività del Paese». Come mai tanta preoccupazione? Per capirlo, basta scoprire chi detiene il debito pubblico dei Paesi più deboli: «La maggioranza del debito italiano è in mano a banche e governi esteri», spiegano Badiale e Tringali. Secondo il “New York Times”, la sola Francia è titolare di oltre un terzo dell’esposizione debitoria italiana, ma importanti quote sono in mano anche a Germania e Gran Bretagna.

La situazione della Grecia è simile: buona parte del suo debito è in mano a stranieri, fra i quali la Regione Lombardia e la stessa Bce, che possiede un portafoglio di titoli greci per un valore nominale di circa 50 miliardi di euro. Ovviamente i creditori esteri hanno interesse ad evitare il default di uno Stato di cui detengono grosse quantità di titoli, per evitare le perdite relative alla conseguente ristrutturazione del debito. Dunque sia la Bce che gli Stati creditori hanno interesse a garantire la solvibilità dei paesi a rischio default. Al massimo potrebbero accettare una “ristrutturazione soft” del debito, come ambienti tedeschi sembrano suggerire per quanto riguarda la Grecia. Obiettivo principale della super-stangata in arrivo: proteggere gli investimenti degli Stati economicamente più forti, e della stessa Bce.

Drammatiche le conseguenze, in ogni caso: mentre si annuncia una stretta storica sulla spesa sociale, per contenere i costi pubblici a spese ovviamente dei ceti più deboli, c’è il rischio concreto che la contrazione del welfare finisca per ostacolare la “ripresa” della crescita, a cui è vincolata l’uscita dal tunnel del debito. In Italia, il rapporto debito-Pil è sopra il 100% e l’Europa ora impone un “aggiustamento” pari a 40 miliardi all’anno da togliere alla spesa pubblica. La stangata potrebbe attenuarsi solo in caso di ripresa della “crescita”, con l’indice Pil sopra l’1,5%, ma è la stessa Corte dei Conti a mostrarsi pessimista, spiegando che difficilmente l’Italia andrà oltre l’attuale 1,3%. Lo scenario che si apre è inquietante: le misure straordinarie che ci attendono sono paragonabili solo allo storico sacrificio imposto per l’entrata nell’Euro, con la differenza che allora la fase di “aggiustamento” dei
conti pubblici fu breve, mentre ora potrebbe prolungarsi in modo pericoloso.

«Manovre di queste dimensioni, protratte per anni, avranno un profondo effetto depressivo», scrivono Badiale e Tringali. «Andranno cioè a incidere negativamente sulla crescita del Pil, che già si prevede stentata». Se succederà questo, allora gli obiettivi fissati (che riguardano proprio il rapporto debito-Pil) potrebbero rivelarsi addirittura irraggiungibili: «Se diminuisce il debito ma contemporaneamente diminuisce anche il Pil, il rapporto fra i due può benissimo restare costante o anche aumentare». Sembra sia questo lo scenario che si profila per la Grecia: «Manovre durissime che abbattono il debito ma anche l’economia, cosicché il rapporto debito-Pil non diminuisce: questo rende necessarie altre manovre, che a loro volta abbattono ulteriormente il Pil e così via, in una spirale depressiva dalla quale non si vede via d’uscita».

E’ dunque probabile che le manovre di riduzione della spesa pubblica che l’Ue intende imporci non avranno gli effetti previsti in termini di riduzione del rapporto debito-Pil. Come se non bastasse, Bruxelles continuerà a spingere perché gli Stati assumano politiche di stampo iperliberista: «E nel prossimo futuro potrà sostanzialmente imporle, tramite gli strumenti introdotti dalle nuove regole». La road-map europea è drasticamente chiara: privatizzazioni, taglio delle pensioni e ancoraggio dei salari alla produttività aziendale, ridimensionando i contratti nazionali di lavoro. Se tutto questo non bastasse, di fronte al rischio di fallimento dello Stato, in base all’European Stability Mechanism l’eventuale “prestito di salvataggio” sarà vincolato ad un pacchetto di riforme decise dai tecnocrati europei, come per la Grecia.

«Lo scenario che ci aspetta è quello di una progressiva perdita di sovranità nazionale a favore della Ue, finalizzata all’implementazione delle fallimentari politiche liberiste da essa imposte», affermano Badiale e Tringali. «E’ facile prevedere gli effetti sociali di tutto questo. Si tratta di misure che costringeranno a tagliare drasticamente la spesa destinata alla salute, alla scuola, ai servizi sociali. Gli enti locali subiranno ridimensionamenti ai bilanci ben maggiori di quelli già realizzati, trovandosi costretti a tagli draconiani ai servizi pubblici, con fortissime ricadute negative per le condizioni di vita di tutti noi». E ancora: la scuola e l’università subiranno ulteriori tagli, mentre l’attacco ai diritti dei lavoratori continuerà, secondo la linea scelta in Italia da Marchionne.

Il lavoro sarà sempre più precario, avvertono i due analisti, e la depressione economica aggraverà il già drammatico problema della disoccupazione, mentre le famiglie avranno sempre maggiori difficoltà a fungere, come hanno fatto finora, da sostituti del Welfare State. «La conseguenza sarà la cancellazione di ogni residua forma di Stato sociale, un ulteriore e drammatico aumento della disoccupazione e del lavoro senza diritti, la drastica diminuzione delle condizioni di vita di larghissimi strati della popolazione», concludono Badiale e Tingali: «Quello che stiamo delineando è lo scenario di una profonda involuzione che renderà il nostro paese in sostanza un paese del terzo mondo»

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