Secondo Gianantonio Girelli, consigliere regionale del Pd, “si
continua a non rivolgere abbastanza attenzione ai temi dell’agricoltura,
quella vera, quella sana, che lavora e si sacrifica. Invece, ancora una
volta aleggia l’ombra di una parte della politica italiana sulla difesa
di interessi illegittimi, come quelli delle quote latte non
rispettate”.
E tutto ciò, aggiunge Girelli, è “reso ancora più grave dal
sospetto, per quanto smentito dagli interessati, che i politici della
Lega abbiano opposto agli investigatori la loro immunità parlamentare,
per evitare così che venissero trovati documenti compromettenti. Questo è
quello che si è portati a pensare, considerato quanto era successo
all’epoca sulla vicenda quote latte, quando il Carroccio volle difendere
a tutti i costi un manipolo di allevatori che non intendevano stare
dentro i limiti imposti dalla Ue e per permettere loro di ritardare il
pagamento degli sforamenti”.
MANGIATOIE PADANE
Maroni nega qualsiasi relazione con le cooperative degli allevatori “splafonatori” delle quote latte, già condannate per aver sottratto all’erario svariate decine di milioni di euro. Strano perché l’unica visita effettuata da Umberto Bossi all’arcinemico Monti, l’8 febbraio 2012, ebbe lo scopo di perorare a Palazzo Chigi la causa di queste cooperative fuorilegge, rimaste prive di copertura politica dopo la caduta del governo forza leghista. In loro soccorso già si era svenata Credieuronord, la banca del Carroccio poi salvata dal duo Fazio-Fiorani quando era ormai sull’orlo del fallimento.
C’è poco da menare scandalo, dunque, se la Guardia di Finanza fa ritorno nella sede di via Bellerio a nove mesi dalla scoperta delle malversazioni in cui era coinvolto l’intero “cerchio magico” del movimento. L’odore di stalla è ancora il più lieve, rispetto alle pestilenziali esalazioni dei bilanci leghisti che ammorbano la Lombardia, dai rimborsi a piè di lista del banchetto nuziale fino ai buoni per l’acquisto di elettrodomestici distribuiti al Senato. Sempre attingendo a fondi pubblici. La schiera dei don Rodrigo, ciascuno con i suoi famelici bravi, che ha occupato per un ventennio le istituzioni trasfor-mandole in mangiatoia personale, dalla quale elargire favori ai sudditi calpestandone i diritti, ha assunto dimensioni tali da coinvolgere un’intera classe dirigente. Il saccheggio di risorse pubbliche è stato vissuto come un premio naturale spettante ai vincitori delle elezioni. Riguarda in proporzioni massicce la Lega e il Pdl, rendendo temeraria la loro pretesa di ricandidarsi al governo della Lombardia e della nazione sbandierando un’inesistente rottura col passato. Come se a guidarli non fossero leader già protagonisti della stagione finita nel disonore. Maroni non avrebbe dovuto essere il ministro di polizia chiamato a vigilare sul rispetto della legge, anche da parte dei pubblici amministratori? E Berlusconi? E Formigoni? Con che faccia si ripresentano?
Grazie alla legge Porcellum sono ancora loro, in questi giorni, a selezionare i candidati da presentare alle elezioni. Berlusconi affiancato da Verdini,Maroni affiancato da Calderoli. Con Bossi già riconfermato capolista perché il poverino ignorava le ruberie della sua famiglia. Pretendono di stabilire i criteri del rinnovamento e della presentabilità, come se non fossero loro stessi i più vecchi e i veri impresentabili.
In proporzioni nettamente inferiori, ma non per questo giustificabili, l’uso improprio e la sottrazione di denaro pubblico hanno riguardato pure esponenti di altri partiti, sinistra compresa. Basti pensare al movimento di Di Pietro, che ne è uscito distrutto. Eppure nelle ultime settimane pareva diffondersi fra i leader in corsa nella campagna elettorale la speranza che il tema della corruzione potesse venir derubricato. Accantonato per convenienza.
Ecco scattare quindi le solite accuse ipocrite di giustizia ad orologeria, quasi che la magistratura dovesse sospendere i procedimenti in atto garantendo alla classe politica il privilegio di una moratoria. Il culmine lo si è raggiunto al processo Ruby, dove l’avvocato Ghedini ha chiesto, cito testualmente, un “legittimo impedimento perenne” per il suo assistito impegnato nella propaganda, sempre all’insegna della smemoratezza. Quasi fosse colpa dei giudici se le indagini rivelano ogni giorno la sistematicità del malaffare, oggi a Parma e domani chissà dove. Come se i tempi già ritardati dell’applicazione della legge dovessero sospendersi, per impedire ai cittadini di farsi un quadro veritiero sull’operato dei loro amministratori.
L’annosa vicenda delle quote latte, una truffa nei confronti dell’Unione europea e dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, perpetrata alla luce del sole con la copertura dei ministri leghisti, ha testimoniato per anni la rivendicazione pubblica del sistema clientelare. Ma ora testimonia anche l’impossibilità di protrarla ulteriormente, perché questo blocco di potere è giunto infine al disfacimento. In agricoltura così come nella sanità, nel sistema delle discariche, negli appalti e nelle licenze. Di nuovo la Lombardia si conferma epicentro di una sfida civica per il ripristino di condizioni minime di legalità, senza cui la politica non potrà mai fronteggiare la sofferenza sociale provocata dalla crisi. Maroni s’illudeva di condurre una campagna elettorale incentrata su inverosimili promesse fiscali, peraltro mai realizzate nei decenni di egemonia nordista. Il suo scopo era di rimuovere dal dibattito pubblico la piaga della corruzione che ha screditato il suo partito. Ma la realtà torna ogni giorno a imporsi in tutta la sua evidenza. E sollecita di fronte ai cittadini la scelta di un presidente della Regione come Umberto Ambrosoli: porto di rottura col cinismo politico, capace di rappresentare come prioritario il bisogno della moralità calpestata da troppi don Rodrigo.
Da La Repubblica (Gad Lerner)
IN POCHE PAROLE
Gli allevatori producono più latte. Non pagano le multe. L’Ue sanziona tutti gli italiani. Nel 1996 l’arrivo delle prime multe scatena infatti le proteste degli allevatori e i tetti continuano ad essere superati. Nel 2011 la Lega interviene per “salvarli”, ma precisiamo ne salva “pochi”. L’emendamento sulle quote latte è stato fortemente voluto dalla Lega Nord e approvato al Senato nel 2010. In realtà non sfiora nemmeno la stragrande maggioranza degli interessati. Un tentativo di regolarizzare ci fu nel 2003, grazie alle decisione della Commissione europea numero 530 che ha consentito di rateizzare in 14 anni senza interessi le multe maturate per eccesso di produzione. Fuori da quei sei anni fa, restano soltanto 1.500 produttori, che devono allo Stato 470 milioni di euro di multe, soldi già anticipati dal Governo alla Ue. Di questi 1.500 alcuni avrebbero provveduto a mettersi in regola, altri invece, grazie alla legge 33, emanata in Italia in accordo con Bruxelles, ha spalmato le multe in 30 anni con rate semestrali da versare ad un apposito ente deputato al recupero delle somme, l’Agea. Lo hanno fatto, entro la scadenza del termine previsto, circa 90. Sospetti, pressing politici che spingono la magistatura milanese ad indagare. L’ipotesi rivelata negli anni sui media e sondo alcune ipotesi d’indagine è che dietro il mancato pagamento delle multe per il latte prodotto in eccedenza dagli allevatori lombardi ci siano soldi finiti alla Lega o a suoi esponenti. Il 14 maggio 2012 fu ascoltato in Procura come teste il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, in qualità di ex ministro dell’Agricoltura e come persona informata sui fatti. In pratica i 350 milioni di euro non versati dagli allevatori tra Milano e Torino per le multe possono esser finiti a esponenti della Lega (o di altri partiti) per aver sostenuto le posizione degli allevatori. L’ultimo status sulle quote latte è infatti la proroga avviata il 25 febbraio del 2011 grazie al governo Berlusconi. La stessa, per cui la Commissione europea ha aperto a febbraio una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Una costo di 2 miliardi versato all’erario europeo e classificando il decreto Milleprorghe come un vero e proprio aiuto di Stato a favore degli allevatori.-
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