Nell’immediatezza del loro indubbio successo nell’elezione dei presidenti delle Camere, Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno iniziato a scambiarsi segnali di fumo programmatici, con l’intento evidente di sondare il terreno per un’eventuale intesa di Governo.
Tant’è che a un capo della Lega che ha parlato dell’esigenza di abbassare le tasse, investire in
sicurezza e abolire del tutto la Legge Fornero, ha risposto quasi all’unisono quello grillino,
ribadendo il taglio delle tasse e il superamento della stessa Fornero,
per poi aggiungere l’aria fritta della lotta alla
disoccupazione giovanile e un non ben precisato welfare per le famiglie.
Il tutto poi, onde confermare il
forte avvicinamento tra onesti a 5 Stelle e populisti padani, sostenuto dalle parole di apprezzamento
espresse tanto da Di Maio che dal suo garante Beppe Grillo,
i quali hanno tenuto a sottolineare quanto
Salvini sia un personaggio che abbia dimostrato di mantenere la propria parola.
Ora sul piano delle convergenze programmatiche,
quasi tutti i giornali italiani hanno messo in evidenza
la repentina scomparsa della flat tax e del reddito di cittadinanza, ossia i due principali cavalli di
battaglia di Lega e Movimento 5 Stelle,
valutando ciò come una chiara quanto reciproca intenzione di
raggiungere un accordo di Governo. Ma è proprio qui che casca l’asino, come si suol dire, dato che
anche ciò che sembra rimasto sul tappeto, considerando le sempre precarie condizioni del Paese, è
ampiamente sufficiente per ottenere in brevissimo tempo un clamoroso fallimento.
Un fallimento che, in
estrema sintesi, può essere di due tipi: politico o economico-finanziario.
Il primo, quello politico, deriverebbe dalla successiva presa d’atto,
una volta che l’unione dei populisti
italioti avesse raggiunto la stanza dei bottoni, che neppure quel che resta delle grandi promesse
elettorali potrà mai essere messo in pratica, dato che abbattere la pressione fiscale aumentando
ulteriormente, con l’abolizione delle Legge Fornero, la già colossale spesa previdenziale non è cosa
praticabile all’interno di un sistema che voglia restare agganciato
ai criteri di una minimale stabilità sul piano del bilancio pubblico.
Al contrario, e veniamo al fallimento di secondo tipo, nel caso il futuro
Esecutivo giallo-verde decidesse
di realizzare in deficit i citati punti di convergenza,
magari aggiungendo qualche altra spesa pazza così
da non farsi mancare nulla, prima che sia l’Europa della moneta unica a
reagire ci penserebbero i tanto
bistrattati mercati finanziari, neutri per definizione e sostanza,
i quali comincerebbero a surriscaldare
pericolosamente i nostri attuali tassi d’interesse che gravano sul nostro gigantesco debito pubblico,
trascinando il Paese di Pulcinella e di Meneghini sulla soglia di un catastrofico default.
In questo modo, i milioni di ingenui e sprovveduti che continuano a credere agli asini che volano
dovranno prendere atto che la somma di due populismi che promettono facili scorciatoie per
problemi assai complessi non può che peggiorare le cose.
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Previsioni per il 2018
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