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venerdì 26 ottobre 2018

Italia, Paese più disinformato al mondo sull’Immigrazione

Immigrazione, le 5 fake news che fanno male all'economia Italiana.

Immigrazione, le 5 fake news che fanno male all'economia Italiana.
I numeri contenuti nel nuovo Dossier Immigrazione IDOS permettono di sfatare molti luoghi comuni sul fenomeno migratorio. Pregiudizi dannosi anche per la crescita economica

Di Emanuele Isonio

«Una persona stupida è chi causa un danno ad un altra persona o gruppo di persone senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé o addirittura subendo una perdita». Poche cose sono più adatte della Terza legge sulla stupidità umana dell’economista Carlo Maria Cipolla per commentare l’approccio che troppi hanno sul fenomeno immigrazione. Perché il mix di disinformazione, preconcetti, razzismo dilagante è confutato dai numeri. I più aggiornati sono contenuti nel “Dossier statistico sull’Immigrazione” realizzato dal Centro studi e ricerche IDOS 
in collaborazione con il mensile Confronti.

Italia, Paese più disinformato al mondo sull’immigrazione
Che il nodo-disinformazione sia una piaga soprattutto italiana lo aveva evidenziato già nel luglio 2017 la relazione finale della Commissione parlamentare Jo Cox sulla xenofobia e il razzismo, nella quale si denunciava come l’Italia sia il Paese con il più alto tasso di disinformazione sull’immigrazione.

Alcuni dei risultati evidenziati nella relazione della Commissione parlamentare Jo Cox su razzismo e xenofobia. Alcuni dei risultati evidenziati nella relazione della Commissione parlamentare Jo Cox su razzismo e xenofobia
Di più: secondo un sondaggio condotto nei mesi scorsi dall’Istituto Cattaneo, gli italiani risultano essere i cittadini europei con la percezione più lontana dalla realtà, riguardo al numero di stranieri che vivono nel territorio nazionale. Il convincimento più diffuso è che la loro presenza si attesti su livelli doppi rispetto a quelli reali.

Una situazione allarmante. Non solo per motivi etici. Quella disinformazione si traduce infatti in sentimenti d’odio e in sostegno a politiche xenofobe e  finisce per giustificare scelte che si rivelano dannose per la nostra economia. Nella quale il contributo positivo dei migranti è decisivo. Nel Dossier IDOS 2018 ci sono quindi almeno 5 dati da evidenziare, perché permettono di confutare altrettante pericolose fake news.


1. L’invasione che non c’è
Nell’Unione europea, certifica Eurostat,  i cittadini stranieri sono 38,6 milioni (di cui 21,6 non comunitari) e rappresentano il 7,5% della popolazione. In questo quadro, l’Italia non ha né il numero più alto di immigrati né ospita più rifugiati e richiedenti asilo.

«Con circa 5 milioni di residenti stranieri (5.144.000 a fine 2017, secondo l’Istat), viene dopo la Germania (9,2 milioni) e Regno Unito (6,1 milioni) mentre supera di poco Francia (4,6 milioni) e Spagna (4,4)».


Anche l’incidenza sulla popolazione complessiva, pari all’8,5% (dato Istat), risulta più bassa di quella di Germania (11,2%), Regno Unito (9,2%) e diversi altri paesi più piccoli dell’Unione, dove i valori superano anche in maniera consistente il 10% (Cipro 16,4%, Austria 15,2%, Belgio 11,9% e Irlanda 11,8%). L’incidenza più alta si registra nel Lussemburgo, dove è straniera quasi la metà della popolazione residente (47,6%).

La credenza che descrive l’Italia come un paese assediato è smontata anche da un altro numero: quello che confronta la presenza straniera nel corso degli anni. Tale dato, ricorda IDOS, «è pressoché stabile intorno ai 5 milioni dal 2013. L’incidenza, nell’ordine dell’8%, aumenta di pochissimi decimali l’anno». Il motivo della crescita? L’invecchiamento della popolazione italiana (gli over 65 italiani sono 1 ogni 4, mentre tra gli stranieri 1 ogni 25) che è anche meno feconda (1,27 figli per donna fertile, contro 1,97 tra le straniere).


Anche se ai residenti stranieri si aggiungesse la quota di immigrati non ancora iscritti nelle anagrafi, IDOS stima in 5.333.000 il numero effettivo di cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia. 26.000 in meno rispetto alla stima del 2016.

2. Lavoro: competizione con gli italiani
«Basta immigrati. Ci rubano il lavoro!». Quante volte è stata ripetuta questa frase, anche da esponenti politici di punta… Tutta fuffa, conferma – a dire il vero non per la prima volta – il dossier IDOS.

«La credenza che gli immigrati rubino il lavoro agli italiani è, da anni, smentita dalla realtà: dei 2.423.000 occupati stranieri nel 2017 (10,5% di tutti gli occupati in Italia), ben i due terzi svolgono professioni poco qualificate o operaie, in ogni comparto. Non sorprende, quindi, che siano sovraistruiti più di un terzo di essi (34,7%, contro il 23,0% degli italiani, per uno scarto di oltre 11 punti percentuali)».


Inoltre i lavoratori immigrati restano ancora schiacciati nelle nicchie di mercato caratterizzate da impieghi pesanti, precari, discontinui, poco retribuiti, spesso stagionali e caratterizzati da sacche di lavoro nero (o grigio) e, quindi, di sfruttamento.

La scarsa mobilità professionale degli stranieri li inchioda poi in situazione di subordine. Lo segnala il differenziale retributivo: un dipendente italiano guadagna il 25,5% in più rispetto a uno straniero (1.381 euro mensili contro 1.029).

Niente di tutto questo fa pensare che gli immigrati siano in competizione con gli italiani per un’occupazione o che rubino agli italiani il lavoro.

Un riflesso di questa disparità si osserva nel differenziale di reddito dichiarato: nel 2016, quello dichiarato da cittadini stranieri è stato complessivamente di 27,2 miliardi, pari a una media annua pro capite di 12mila euro, inferiore di quasi 10mila euro a quella degli italiani (circa 21.600 euro).


3. Immigrati, costo per le casse pubbliche
Niente di più falso che gli stranieri presenti in Italia siano un onere per il nostro welfare. Sui redditi prodotti i contribuenti stranieri – ricorda IDOS citando i dati della Fondazione Leone Moressa – hanno versato Irpef per 3,3 miliardi di euro. Se sommiamo quella cifra ad altre voci di entrata, riconducibili a cittadini stranieri (320 milioni solo per i rilasci/rinnovi dei permessi di soggiorno e le acquisizioni di cittadinanza e 11,9 miliardi come contributi previdenziali), l’introito nelle casse dello Stato è pari a 19,2 miliardi di euro. Sì, ma quanti soldi pubblici si usano per loro? 17,5 miliardi (il 2,1% dell’intera spesa pubblica nazionale).

Il bilancio statale tra entrate e uscite imputabile all’immigrazione è quindi positivo per un importo di almeno 1,7 miliardi.

Bilancio entrate/uscite per le casse pubbliche prodotte da immigrati. 

Ma la cifra, già di tutto rispetto, cresce ulteriormente fino ad arrivare ai 3 miliardi di saldo positivo, se invece che calcolare il costo standard si considera che i servizi agli immigrati vengono erogati usufruendo di personale, beni strumentali, strutture già esistenti. In questo modo, infatti, si considera il costo marginale (decrescente) di ciascun servizio.

4. L’invasione musulmana
Anche sul fronte religioso, i dati dovrebbero tranquillizzare: più della metà degli immigrati sono cristiani (2,7 milioni, pari al 52,6% del totale, secondo la stima di IDOS). La maggior parte di essi sono ortodossi (1,5 milioni) seguiti dai cattolici (oltre 900mila). I musulmani sono poco meno di un terzo (32,7%, pari a 1.683.000 persone).


Eppure dilagano le discriminazioni basate sulla religione di appartenenza che sfociano in una vera islamofobia, agevolata dai discorsi d’odio tollerati dai social network. Il pericolo, più che concreto, è che questa intolleranza rallenti il processo di integrazione. Il rapporto IDOS segnala ad esempio che la diffidenza ha conseguenze in vari ambiti. Tra questi, l’accesso al mercato della casa.

Gli stranieri restano infatti particolarmente penalizzati, sia per gli affitti, a causa della frequente e dichiarata indisponibilità dei proprietari a locare a stranieri, sia per gli acquisti, a causa delle difficoltà di ottenere un mutuo.

Ne consegue che quasi 2 stranieri su 3 abitano in affitto, spesso in coabitazione, e solo 1 su 5 in case di proprietà (di metratura mediamente limitata e soprattutto in contesti residenziali popolari e di periferia. Il resto abita o presso i datori di lavoro o da parenti e amici, a volte in condizioni di sovraffollamento.

5. Accoglienza, tutto sulle spalle dei Paesi ricchi
Contrariamente a quanto si pensa di solito, nel mondo l’accoglienza dei rifugiati grava in misura massiccia sui paesi in via di sviluppo. 
Sono loro a ospitarne la stragrande maggioranza. Quanti? 85 ogni 100.

Per il quarto anno consecutivo, a causa della guerra nella confinante Siria e degli accordi con l’Ue, è la Turchia a ospitarne il numero maggiore (3,5 milioni, cui si aggiungono 300mila richiedenti asilo), seguita dal Pakistan con 1,4 milioni (quasi tutti afghani), dall’Uganda con 1.350.000 (un numero cresciuto di 400mila unità in un anno e di cui 1 milione proviene dal Sud Sudan e 230mila dalla Repubblica Democratica del Congo), dal Libano con un
milione (in maggioranza siriani), dall’Iran con 980mila (per lo più afghani).

Se poi si considera l’incidenza dei rifugiati sulla popolazione residente, il primato spetta al Libano (dove il rapporto è di 1 ogni 6 abitanti), seguito dalla Giordania (1 ogni 14), due paesi in cui il rapporto arriva rispettivamente a 1 ogni 4 e 1 ogni 3 se si considerano anche i rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’Unrwa. La Turchia è terza, con 1 su 23.



«In un simile contesto, il ricorrente motto “aiutiamoli a casa loro”, all’insegna del quale molti vorrebbero liquidare sbrigativamente il “problema” dell’immigrazione chiudendo le frontiere, se per un verso richiama, in positivo, la necessità di sostenere maggiormente la cooperazione internazionale, per altro verso – date le dimensioni globali e il carattere strutturale e multidimen- sionale del fenomeno e delle sue cause – non avrebbe effetti apprezzabili, in termini di riduzione dei flussi migratori, nel breve-medio periodo» osservano gli analisti IDOS. «Richiederebbe in ogni caso l’affiancamento di politiche di gestione dei flussi e di integrazione dei migranti maggiormente coerenti e, soprattutto, armonizzate a livello internazionale, come la portata del fenomeno richiede».


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