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mercoledì 12 agosto 2009

Costituzione violata in Afghanistan

La Costituzione violata in Afghanistan


Il ministro Frattini, con un’intervista al Corriere della sera di ieri, ha confessato. La missione italiana in Afghanistan non rientra tra le previsioni dell’articolo 11 della Costituzione. Non è volta a mantenere la pace, ma ad imporla «con la legittimazione dell’Onu e della Nato». La gravità di tali dichiarazioni è enorme. Non solo perché la violazione di una norma posta dalla Costituzione come uno dei principi fondamentali della Repubblica, per la prima volta a memoria d’uomo, è ammessa, dichiarata, riconosciuta da un membro del governo come se fosse possibile, normale, lecito, agire in flagrante opposizione a tale principio, pur se contenuto nell’atto normativo fondante e legittimante l’ordinamento giuridico italiano. Ma perché invece di trarne l’unica, ammissibile, obbligata, improrogabile, conseguenza, quelle del ritiro della missione, si abbandona a due operazioni parimenti sconcertanti. Una è quella di «interpretare quel rifiuto (ma nel testo costituzionale si legge la parola «ripudia», ndr) della guerra includendo (evidentemente tra quelle ammesse, ndr) le azioni propedeutiche al creare la pace». Con l’altra prospetta l’aggiunta di «un capoverso ad hoc per disciplinare costituzionalmente» tali missioni.
Com’è del tutto evidente, l’interpretazione della norma costituzionale, immaginata dal ministro degli esteri, verrebbe ad essere di tale tenore, di tale portata, di tale contenuto, da rovesciare il significato dell’articolo 11 della Costituzione. Il ministro Frattini è un giurista e lo sa benissimo. Lo sa benissimo quando spiega di quali azioni si tratta, sa che si tratta di «vere azioni militari. Come i bombardamenti dei cannoni montati sui Tornado o gli atti a cui i nostri (soldati) vanno incontro quando, attaccati da terroristi si devono difendere. Sparano. Non sono azioni di pace. Però la preparano». Il ministro sa altrettanto bene che non c’è stata guerra nella storia che non sia stata propagandata come volta ad instaurare la pace. Che non sia stata motivata da sacri principi e da alti ideali. Non era ignota la storia ai costituenti italiani. Il «ripudio» fu voluto e sancito appunto perché non potessero esserci dubbi, riserve, eccezioni, attenuazioni, elusioni, del disposto normativo redatto più netto, «semplice e chiaro» come lo stesso ministro riconosce. E non si dica che le «missioni di pace» non erano immaginabili nel 1945. Per il loro reale carattere, per quel che comportano, richiedono e implicano sono azioni di guerra, come tali sono escluse e da escludere dal significato dell’articolo 11, dal fine perseguito dal principio e dalla regola che contiene. Fine e regola che non ammettono, ma respingono e decisamente l’aggiunta del capoverso prefigurato dal ministro, perché tale aggiunta configurerebbe una mostruosa ed eclatante contraddizione.
Una domanda cruciale emerge ormai da quando le missioni «di pace» si sono poste come strumenti di politica estera italiana. Attiene alla fonte di legittimazione che si invoca. La Nato e l’Onu. Per quanto riguarda la Nato, al di là di ogni altra considerazione sulla sua ragion d’essere, molto dubbia da non pochi punti di vista, è del tutto ovvio, per chiunque abbia rispetto per le acquisizioni della civiltà giuridica, che un trattato internazionale, qualsivoglia impegno, regola, vincolo, contenga, non può prevedere, tanto meno autorizzare che uno stato vi adempia, violando un principio e una norma della propria costituzione.
Per quanto riguarda l’Onu, va detto che proprio sulla base di quanto prescrive l’articolo 11 in ordine alle limitazioni di sovranità previste e consentite in quanto «necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni», non è che qualsivoglia deliberazione del Consiglio di sicurezza, perché tale, sia immune da valutazioni da parte dei singoli stati. Ciascuno di questi può sicuramente esaminarne sia la congruenza concreta e specifica rispetto al fine di assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni, sia la compatibilità con i princìpi su cui si basa il proprio ordinamento interno. Lo Statuto dell’Onu non ha assorbito il diritto internazionale, lo ha assunto come fondamento, quello dell’eguaglianza degli stati. La coincidenza del principio pacifista della nostra Costituzione e dello Statuto dell’Onu comporta certamente una sicura legittimazione del nostro stato a verificare la coerenza delle delibere del Consiglio di sicurezza rispetto al principio pacifista. Ma sempre e soltanto in rigorosa, non attenuata, non mistificata, esecuzione della norma sul ripudio della guerra, comunque denominata e mascherata. È anche perciò vanno respinte con sdegno le interpretazioni che la sfigurano e le aggiunte che la contraddicono.

Gianni Ferrara
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