domenica 9 agosto 2009
Woodstock, 40 anni dopo
Woodstock, magari. Anche 40 anni dopo
Andò come andò, beato chi c'era, grazie per quel nutrimento culturale di generazioni. Ma Woodstock quarant'anni dopo non si celebra per mancanza di sponsor e di soldi. E la Stampa di ieri mattina, incautamente scrive in prima pagina: «finalmente!», sostenendo che i ragazzi di oggi non ne sanno nulla, che Woodstock ricorda loro tutto al più l'uccellino di Snoopy, che dentro gli iPod dei nostri figli circola altro. Errore. Grande errore. Quella storia vibra ancora come una corda pizzicata da Jimi. E mica tra noi vecchietti (il collega de la Stampa così si autodefinisce e al buio ci associamo subito), ma proprio tra i ragazzi che cita, dai 14 anni in su.
Woodstock, magari. «Se ci ispirassimo a loro, potremmo superare quelle avversità che sono i problemi attuali dell'America, nella speranza di un futuro più luminoso e pacifico». Non è l'onnipresente Barack Obama a parlare ma Max Yasgur, l'allevatore che per 75.000 dollari affittò i terreni a Bethel, nello stato di New York, dove tra il 15 e il 18 agosto del 1969 si svolse il più famoso festival della storia del rock. Servirono altri 25.000 dollari per prendersi terreni circostanti, perché lo spazio era diventato insufficiente appena si sparse la voce dell'evento. Le highway americane rimasero bloccate sul serio, mica per colpa di passanti fasulli fatti per non passare. Jimi Hendrix suonò di lunedì 18 con la sua strato bianca quando molti se ne erano già andati e la storia finisce. O comincia.
Quarant'anni dopo? Certo, le celebrazioni un po' puzzano sempre. Michael Lang, uno dei quattro organizzatori di Woodstock 1969, ha dato forfait per il concerto del quarantennale che avrebbe voluto tenere a Brooklyn (mica sui campi fangosi di Yasgur, è la televisione bellezza), perché non ha trovato 10 milioni di dollari di sponsor. Nel 1969, 100.000 dollari al cambio allora fisso con la lira (1 dollaro=625 lire) valevano 62,5 milioni, che teletrasportati a oggi senza contare svalutazioni etc, fanno circa 30.000 euro. Una bella differenza, altri tempi, le leggi dello spettacolo hanno fatto da allora mille capriole. Usare però il flop di Lang come strumento per suonare il requiem per il rock e per il suo concerto-idolo è troppo. Piuttosto, andrebbe ricordato che il quarantennale è precipitato dentro il buco nero della crisi finanziaria ed economica mondiale più grave da un ottantennio, cioè dal grande crack del 1929. Un colpo di sfortuna verrebbe da dire, se non fosse che i milioni di posti di lavoro persi in giro per il mondo a causa del crack gridano vendetta. Eppoi, valli a trovare due tipi come Joel Rosenman e John Roberts (il quarto degli organizzatori era Artie Komfeld) che in un annuncio sul New York Times e sul Wall Street Journal si presentavano così: «Uomini giovani con capitale illimitato cercano interessanti opportunità, legali, di investimento e di proposte d'affari», ecco come nacque Woodstock Ventures. Per Lang, farsi dare oggi 10 milioni di dollari per un festival da banche, assicurazioni, costruttori di automobili e produttori di yogurt è stata troppo dura. Ne hanno sperperati così tanti negli anni scorsi, che adesso sono costretti a cambiare musica.
Non i nostri ragazzi. Che magari non leggono la Stampa (e nemmeno il manifesto) ma che di Woodstock sanno tutto, o quasi. Bisogna ascoltarli suonare nelle salette che pullulano in città, si sentono ancora Jimi Hendrix e i Led Zeppelin che a Woodstock non ci andarono, dirottati dal loro agente in un'altra tournée americana. Certo, Joe Cocker sì, Joan Baez proprio no. Sarà che chi scrive ha trovato nell'iPod di un figlio di 8 anni Stairway to Heaven, Jimmy Page a fianco dei Red Hot Chili Peppers nonché dei Deep Purple. Sarà che il fratello poco più grande suona una Gibson e usa Internet, cosa che nel 1969 - e nemmeno nel 1979 e nemmeno nel 1989 - noi sapevamo cosa fosse, e che con un click su un motore di ricerca, Woodstock è servito per filo e per segno, e per filmati.
Di sicuro, è più facile che questa generazione conosca meglio chi sono gli «eroi di Woodstock», per citare ancora il collega, che quelli «dei Mille, del Piave, della Guerra d'Etiopia e pure - diciamolo francamente - della Resistenza». Nel caso, semmai è colpa nostra.
Francesco Paternò
.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Buon giorno!:)
RispondiEliminaPasso per un saluto rapido.
Ho messo il blog in pausa, ma seppure assente passerò a trovarvi saltuariamente :)))
Buona giornata, buone vacanze e...buona vita!
GRAZIE , BUONA VITA ANKE A TE , CIAO
RispondiEliminaquello che stavo cercando, grazie
RispondiElimina