sabato 15 agosto 2009
L'Aquila in gabbia
L'Aquila in gabbia
Ieri ha avuto il suo giorno di gloria anche lo sfollato aquilano che sulla scheda, alla voce «sistemazione preferita», ha pensato bene di scrivere Villa Certosa. Oggi si torna alla dura realtà. Che nessun terremotato andrà in Costa Smeralda, neanche per provare l'ebbrezza di calpestare una terra a rischio sismico zero, è certo almeno quanto il fatto che Berlusconi tornerà tra i terremotati a rilanciare il suo jackpot infinito. Quella annunciata per il pomeriggio di questo ferragosto è la visita n° 20. Torna in pista il premier-capomastro, per lanciare uno sguardo amorevole sullo stato dell'arte nei cantieri in cui stanno nascendo i futuri ghetti antisismici del piano C.a.s.e. Una botta di vita, dopo gli sbadigli della vacanza in famiglia. Niente di «dolce», solo una nuova tappa del percorso penitenziale che il cavaliere si è imposto per arginare l'emorragia di consensi seguita alle note vicende. Dirà che tutto va bene, che i senza tetto ne avranno presto uno con sotto un letto, un televisore che forse non prende bene Raitre e un frigo imbottito di leccornie, con la torta gelato offerta dal governo. Che altro volete?
Gli aquilani sono molto esigenti: chiedono chiarezza e non speculazioni, più perizie e meno imperizia. Un po' di giustizia, vogliono. Non il caos burocratico che ha accompagnato il censimento di questi ultimi giorni, proiezione attendibile di quel che accadrà in autunno, quando il severo microclima locale tornerà a mordere la tela sfibrata delle tende. Chi ha subìto il terremoto e quel che ne è seguito ora vorrebbe lavoro, una scuola in cui mandare i figli a settembre, centri storici di nuovo abitabili. Pretenderebbe le chiese ma ancor prima le case. Qualcuno - lui sì, davvero troppo esigente - si sarebbe spinto oltre chiedendo più Buccio di Ranallo e meno Renzo Arbore, in queste notti da trascorrere all'aperto. Invece.
È ormai chiaro che le new towns, se pure dovessero essere realizzate in tempo utile, non risolveranno mai il dramma dei senzatetto. Di più: la semplice idea di costruirle ha inferto un altro colpo mortale agli equilibri psichici e urbanistici del capoluogo e dei suoi dintorni. Oltre a ridurre «in macerie» quel che resta di un ambiente naturale già abbastanza violentato. L'Aquila, sopravvissuta nonostante tutto al sisma del 6 aprile, rischia ora di soccombere di fronte al terremoto anche sociale che si sta abbattendo sulla sua gente. C'è molto da fare, per impedire un crollo così.
Le luci della ribalta oggi pomeriggio torneranno invece ad esaltare solo quell'altro modo di «fare». Torna in scena il «governo del fare». Ma fare cosa, oltre che usare in modo spregiudicato la tragedia, centralizzare l'emergenza relegando nell'angolo gli aquilani per cittadini o amministratori che fossero, silenziare i giovani che si sono rivelati vecchi saggi e i vecchi saggi sconvolti dalla prospettiva di non poter più rientrare nelle loro case? Il G8 è stato, appunto, un grosso «fatto». Che prima ha tormentato con disagi e limitazioni la popolazione e ora presenta il conto dei ritardi accumulati, delle energie e delle attenzioni deviate. Forse che la Germania non avrebbe comunque investito su Onna? E Zapatero, avrebbe viceversa lasciato marcire il «suo» forte spagnolo?
Di sicuro con o senza «grandi» le tendopoli sarebbero rimaste tendopoli, con tante regole assurde e pochi diritti per chi le abita. Appunto: troppo esigenti, questi aquilani. Vogliono questo e quello. Nella migliore delle ipotesi riceveranno solo delle nuove promesse. Promesse da marinaio che, si sa, in montagna sembrano avere le gambe ancora più corte.
Marco Boccitto
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