Il Consiglio d'Europa all'Italia: chiarire la sorte degli eritrei in Libia
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Da Rainews24. In due lettere ai ministri Maroni e Frattini inviate il 2 luglio e rese note solo oggi, il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, ha chiesto aiuto al governo italiano per fare chiarezza sulla sorte dei 250 eritrei detenuti in Libia. Frattini: «L'Italia è pronta a fare la sua parte ma nel quadro di un'azione Ue»
Il commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, ha chiesto aiuto al governo italiano per fare chiarezza sulla sorte di 250 eritrei detenuti in Libia. Con due lettere inviate lo scorso 2 luglio al ministro degli Esteri, Franco Frattini, e al ministro degli Interni, Roberto Maroni – il cui testo è stato reso noto solo oggi – Hammarberg ha chiesto al governo italiano di «collaborare al fine di chiarire con urgenza la situazione con il governo libico».
È sempre più grave la situazione dei rifugiati eritrei chiusi nel centro di detenzione di Brak, vicino Sabha, nel sud del deserto libico e serve con urgenza un intervento internazionale: a chiederlo è stato ieri il Consiglio italiano rifugiati [Cir] assieme ad Amnesty international, mentre uno dei detenuti parla di «condizioni disumane» e torture ripetute anche su donne e bambini.
La Farnesina, da parte sua, fa sapere che l’Italia «è pronta a fare la sua parte ma nel quadro di un’azione Ue», ha detto a CNRmedia Maurizio Massari, portavoce del ministro degli Esteri Franco Frattini. Massari ha spiegato come non si tratti di «un problema tra Italia e Libia», e «non si capisce perché solo l’Italia si debba fare carico di questi rifugiati e del problema dei rifugiati in generale».
Il Cir ha chiesto al governo italiano di «trasferire e reinsediare i rifugiati in Italia», secondo quanto ha spiegato oggi il suo direttore, Christopher Hein. Inoltre, chiede che una delegazione di enti umanitari non politici sia ammessa ad una visita nel centro di Brak e che, «senza alcun ritardo», vengano fornite le cure di emergenza ai feriti.
Intanto Amnesty si appella alle autorità di Tripoli affinché, oltre a fornire acqua, cibo, servizi igienici adeguati e cure, non si rinviino forzatamente in Eritrea i rifugiati, «rispettando il principio internazionale del ‘non respingimento’ verso paesi in cui una persona potrebbe essere a rischio di tortura o altre forme di maltrattamento».
Intanto, dal deserto libico le voci dei rifugiati descrivono condizioni sempre peggiori: «Ci torturano a tutte le ore, ci insultano e ci picchiano. Stiamo morendo nel deserto», ha detto a CNRmedia uno dei 250 eritrei. «Prima – ha raccontato – eravamo in un centro di detenzione a Misurata. Alcuni di noi erano stati arrestati perché già abitavano in Libia, altri sono stati presi nelle città, altri ancora sono stati respinti dall’Italia lo scorso anno. Anche se avevano il diritto di essere accolti come rifugiati sono stati respinti». Molti, ha proseguito l’uomo, «hanno braccia, gambe, teste rotte, ci sono anche 18 donne e bambini. Le torture sono state molto pesanti». E attorno, ha concluso, «abbiamo solo l’Ambasciata eritrea che ci vuole rimpatriare e le autorità libiche. Il problema è ottenere dei visti, abbiamo bisogno di essere riconosciuti come rifugiati, abbiamo bisogno di aiuto da parte della comunità internazionale».
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