Soldi che cadono dal cielo
Neppure il processo a Dell’Utri ha chiarito
i dubbi sull’origine delle fortune di Berlusconi
DI PAOLO BIONDANI
Silvio Berlusconi, nel processo di Palermo a carico di Marcello Dell’Utri, non è mai stato accusato di nulla. Subire estorsioni e non denunciarle non è reato. La vittima del racket rischia di finire sotto accusa solo se commette falsa testimonianza in tribunale, negando di aver subito estorsioni che risultino provate comunque. C’è però un delicatissimo capitolo del processo che lo riguarda personalmente: per molte udienze i giudici cercano di risolvere il mistero delle origini delle fortune di Berlusconi. Il problema, dibattuto da decenni, è che le aziende del Cavaliere, tra gli anni Settanta e Ottanta, sono state finanziate con capitali provenienti da anonime società estere, di cui tuttora non si conoscono gli effettivi titolari. È la questione illustrata dal regista Nanni Moretti, nel film Il Caimano, con la scena dei «soldi che cadono dal cielo» sulla scrivania di Berlusconi.
Durante il lungo processo a Dell’Utri, il tema diventa incandescente, perché diversi pentiti di mafia parlano di presunti investimenti milionari effettuati da boss come Bontate e Teresi proprio tramite Dell’Utri: soldi che, dopo la morte di quei capi-mafia, uccisi dai corleonesi, nessuno avrebbe più potuto rivendicare. La Procura di Palermo apre addirittura un’inchiesta su Berlusconi e Dell’Utri con un’ipotesi di riciclaggio, che alla fine però gli stessi pm devono archiviare: i pentiti possono citare solo presunte confidenze indirette dei boss che sono morti o non parlano, ma non sono in grado di fornire riscontri concreti.
La questione viene ovviamente approfondita anche nel processo a Dell’Utri, che di Berlusconi è stato il braccio destro fin da quei fatidici anni Settanta. Vengono così interrogati i consulenti tecnici dell’accusa e della difesa, incaricati di ricostruire con certezza i flussi dei capitali finiti nelle aziende edilizie e televisive di Berlusconi. Per la Procura, depone un ispettore della Banca d’Italia, Francesco Giuffrida; per la difesa, un professore universitario, Paolo Iovenitti. Lo scontro in aula è durissimo. Esaminati tutti gli atti, già il tribunale conclude che le accuse di riciclaggio non sono provate, per cui nei successivi gradi di giudizio la questione cade. Ma gli stessi giudici avvertono che neppure il processo a Dell’Utri ha chiarito i dubbi sull’origine delle fortune di Berlusconi.
Il collegio presieduto dal giudice Leonardo Guarnotta, l’unico a entrare nel merito dei fatti, riassume così il risultato del processo: «Da parte di entrambi i consulenti tecnici, non è stato possibile risalire, in termini di assoluta certezza e chiarezza, all’origine, qualunque essa fosse, lecita o illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding del gruppo Fininvest». In altre parole, se è vero che non ci sono «prove positive» di investimenti collegabili alla mafia, per cui «le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non si possono ritenere riscontrate», è anche vero, scrivono i giudici, che «la scarsa trasparenza o l’anomalia di molte delle operazioni finanziarie effettuate dalla Fininvest negli anni 1975-84 non hanno trovato smentite nelle conclusioni del consulente della difesa», visto che «nemmeno il professor Iovenitti è riuscito a fare chiarezza, pur avendo la disponibilità di tutta la documentazione esistente presso gli archivi della Fininvest».
Nel tentativo di fugare dubbi così gravi, i giudici di Palermo hanno invitato più volte lo stesso Berlusconi a testimoniare. La prima deposizione viene fissata per l’11 luglio 2001. Berlusconi è presidente del Consiglio, per cui decide di avvalersi della prerogativa legale di essere sentito a Palazzo Chigi. Quindi tutto il tribunale, con avvocati e cancellieri, deve trasferirsi a Roma. La testimonianza però salta all’improvviso, perché Berlusconi oppone «indifferibili impegni di governo». L’intero tribunale torna a trasferirsi a Palazzo Chigi il 26 novembre 2002, ma anche questa deposizione va a vuoto: Berlusconi, in quel momento indagato nell’inchiesta per riciclaggio poi archiviata, preferisce avvalersi della facoltà di non rispondere.
Nella sentenza, che ricostruisce la mancata testimonianza del leader di Forza Italia nel processo a Dell’Utri, in particolare sul tema dell’origine dei capitali delle proprie società, i giudici chiudono il caso con queste parole: «Berlusconi ha esercitato legittimamente un diritto riconosciuto dal codice, ma, ad avviso del tribunale, si è lasciato sfuggire l’imperdibile occasione di fare personalmente, pubblicamente e definitivamente chiarezza sulla delicata tematica in esame, che incide sulla correttezza e trasparenza del suo operato di imprenditore, che solo lui, meglio di qualunque consulente o testimone e con ben altra autorevolezza e capacità di convincimento, avrebbe potuto illustrare. Invece, ha scelto il silenzio».
Testo tratto dal libro “Il Cavaliere Nero,
la vera storia di Silvio Berlusconi”,
di Paolo Biondani e Carlo Porcedda, ed. Chiarelettere.
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