sabato 11 settembre 2010
Perché Fini fa la guerra a Berlusconi
Scritto da Daniele Santoro
Mentre si sgonfia l’euforia irrazionale che ha pervaso l’Italia tutta dopo il mirabile elogio del populismo che ha avuto luogo a Mirabello, riteniamo utile avanzare alcune considerazioni di carattere politico.
E sottolineiamo di carattere politico perché la dichiarazione di guerra lanciata da Fini a Berlusconi, volendole dare una dignità che come vedremo non ha, è di carattere antropologico-culturale, non politico. Ma andiamo con ordine.
Dice Fini: “il Pdl non è un partito liberale, non c’è spazio per il dissenso” e via dicendo. E mo te ne accorgi? Scusa, ma secondo te Berlusconi fonda senza dirti niente il Pdl apposta per fare fuori te e Casini e poi ti lascia libero di dissentire? E dove siamo? E poi scusa, ma nel 2008, quando si trattava di vincere le elezioni e occupare Montecitorio, i tatticismi andavano bene? Non l’hai detto nel 2008: aspetto domani che se lo faccio oggi finisco male? E il cuore oltre l’ostacolo non lo potevi gettare nel 2008? Che mancava, l’ostacolo o il cuore? E poi perché mai le correnti di An erano “metastasi” e la tua nel Pdl dovrebbe essere espressione di libertà? E perché in An dovevi comandare solo tu e invece Berluscooni non può comandare nel Pdl? Le cose erano chiare fin dall’inizio: Berlusconi voleva i tuoi voti e con la logica del voto utile se li sarebbe presi che tu entrassi nel Pdl o no. Sei rimasto fregato, ed è giusto che ti voglia vendicare. Ma questo con la politica non c’entra niente. Berlusconi ha una logica (perversa, ma sempre logica è), tu no.
Dice ancora Fini: “Berlusconi mi ha cacciato”. E ha fatto bene. Il crimine di guerra del quale ti sei macchiato è il peggiore: intelligenza col nemico. E, per cortesia, non tentiamo colpi bassi. Ma quale patria? Ma quale nazione? Ma quali avversari? E che, solo quando ti fa comodo a te? Qui siamo in una guerra di bande e la logica è quella schmittiana: l’amico del mio nemico è mio nemico. Ma che Berlusconi è scemo? Sono mesi che complotti con Repubblica, Casini e tutti quelli. Tu complotti, io ti caccio. Mors tua vita mea. E ringrazia solo che Berlusconi non ti ha cacciato su due piedi alla direzione nazionale. Se no altro che Mirabello!
Dice sempre Fini: “Berlusconi pensa che governare voglia dire comandare”. Come sopra: e mo te ne accorgi? Ti ci sono voluti quindici anni? E meno male che sei “il più abile tra i politici italiani” (questi dell’Economist sono di una simpatia sconfinata). E tutte le leggi ad personam che gli hai votato? E i “tagli lineari” di Tremonti? E che fa, si vota da sola la finanziaria (a disporli è stata quella triennale votata nel 2008)? Dov’erano i tuoi? Te lo dico io: in Parlamento, e l’hanno votata tutti. Ma ci vogliamo prendere in giro? E quella volta che al Parlamento europeo, in tua presenza, Berlusconi diede del kapò a Schultz e magnificò in eurovisione le bellezze naturali e la generosità del clima italico, quella volta dov’era la patria? E la nazione? E il cuore? E l’ostacolo? E le idee? Meglio domani, avrai detto. Tanto se prima o poi il domani arriva si può sempre dire: io non aspetto domani, agisco oggi! E ieri? Non conta, in questo cortocircuito diacronico per il quale tutto diventa improvvisamente sincronico. Dice Fini: il futuro. Ho capito ma, dico io, e il passato? Dove lo mettiamo? Ce lo scordiamo?
Qualche considerazione va poi dedicata ai simpaticoni di Farefuturo, che quest’estate hanno ricevuto la visita della Madonna in persona che gi ha rivelato il terzo segreto di Fatima: Montanelli aveva ragione. Bene, bravo, bis. Ma in questi quindici anni dove stavate? In erasmus su Marte? Vi hanno ibernato nel 1994 e scongelato nel 2010? No perché sapete com’è, sono circa quindici anni che mentre voi votavate Berlusconi alle elezioni e gli amici vostri gli votavano la fiducia in Parlamento e le leggi ad personam, qualche milione di italiani aveva già intuito la Rivelazione. Sono quindici anni che non possiamo andare all’estero senza sentirci dire: “Italiano, Berlusconi, ahahaha”. E voi mo vi svegliate? Per carità, meglio tardi che mai. Non è che siamo gelosi. Ci mancherebbe altro. Il fatto è che a noi antiberlusconiani della prima ora l’antiberlusconismo di maniera non ci entusiasma. Non è che puoi fare l’antiberlusconiano solo quando ti fa comodo. Non è che puoi dire: “Montanelli ha ragione” e poi elogiare uno che della deriva berlusconiana paventata da Montanelli è corresponsabile tanto quanto Berlusconi. La storia è storia, il che significa che il prima è il prima e il dopo è il dopo. Non è che puoi analizzare il dopo scaricando nel cesso il prima, o fare finta che il dopo sia uguale al prima.
Concludendo, voi dite: Fini è un uomo di Stato, un patriota e via dicendo. La militanza berlusconiana è un accidente della Storia, ma in fin dei conti che cos’è la Storia di fronte al Futuro? Io dico: col cavolo! Fini è un opportunista che grazie a una serie di cortocircuiti politici ha finalmente la Grande Occasione di vendicarsi delle angherie subite in quindici anni dal Capo. E sarebbe pure disponibile a resettare tutto, a rimettersi con il Berlusca se questi fosse disposto a rinegoziare il patto elettorale sulle stesse basi del 2001. Altro che patria!
Ma qui il problema non è chi ha ragione. Non è la mala o buona fede di Fini. Il problema è se la dichiarazione di guerra di Fini a Berlusconi affondi le proprie radici esclusivamente nella politica italiana o nell’incompatibilità antropologica tra i due leader. Mi spiego meglio. Barbara Contini ha motivato la sua adesione e Futuro e libertà essenzialmente sulla base di ragioni attinenti alla politica estera, ed è superfluo ricordare che l’adesione della Contini è stata decisiva per la formazione del gruppo Fli al Senato. Carmelo Briguglio (membro del Copasir), poi, ha passato l’estate a raccontarci quanto siano pericolosi i rapporti di Berlusconi (in quanto capo del governo, non in quanto uomo d’affari) con Putin e Gheddafi. Ora, non è che in Italia si parli di politica estera tutti i giorni. Anzi, non se ne parla mai. Tanto più quando è in corso una crisi di governo (prevengo l’obiezione: il finanziamento delle missioni all’estero non è una questione di politica estera, ma un questione di politica interna dibattuta in maniera teologica: la guerra è giusta vs la guerra è sbagliata).
Limitiamoci a Gheddafi. Dicono alcuni: gli interessi personali del premier non coincidono con quelli dell’Italia, Berlusconi fa affari con Gheddafi ma l’Italia non ci guadagna nulla. E che è una novità? Dicono altri: attenzione, qui non siamo più nel campo dell’economia ma sconfiniamo in quello scivoloso della geopolitica. Ah, ecco. Questo è più interessante. E sì perché Gheddafi non è il direttore di un fondo di investimento di Dubai, ma il leader assoluto di un regime antiamericano. È uno che sta là da quarant’anni, che ha visto avvicendarsi qualcosa come otto presidenti americani, che è uscito indenne da almeno una decina di congiure ordite dalle maggiori potenze globali. È uno che conosce la Realpolitik molto meglio di quelli che la usano per riempirsi la bocca. È un leader freddo e calcolatore, che ha fatto un colpo di Stato a 27 anni, che coltiva ambizioni panafricane e panislamiche ma che in realtà conosce molto bene i propri limiti. E sa che noi potremmo essere al di qua di questi limiti. La sua scalata ai vertici del nostro sistema industriale e bancario, dunque, potrebbe piacere non proprio a tutti. Per qualcuno potrebbe essere fastidioso che, un giorno, Roma debba essere costretta a consultarsi con Tripoli prima che con gli alleati occidentali. O che l’Italia, da portaerei americana nel Mediterraneo, possa trasformarsi nella protuberanza libica in Europa. Qualora fosse sorta, o dovesse sorgere, la necessità di creare, supportare o rinforzare un contropotere interno a Berlusconi, difficilmente si potrebbe immaginare una scelta più azzeccata di quella di Gianfranco Fini.
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