L'invasione della Polonia fu giustificata all'opinione pubblica con una fake news: il 31 agosto 1939, uomini delle SS vestiti con l'uniforme dei soldati polacchi "attaccarono" una stazione radio tedesca a Gliwice (foto). La notizia venne ripresa da tutti gli organi di informazione. Il giorno seguente, Hitler, in risposta a questo, annunciò la sua decisione di invadere la Polonia.
Ripetere una bugia cento, mille,
un milione di volte e diventerà una verità.
Chi ha pronunciato secondo voi questa frase? Si adatta perfettamente a coloro che diffondo false notizie nel web, vero?
Certo, peccato che a pronunciarla sia stato il tristemente famoso, per roghi di libri e propaganda razzista, Joseph Goebbels. Esattamene lui il Ministro per la propaganda del Fuhrer. Del resto come potrebbe un regime dittatoriale convincere i propri sudditi di avere ragione, che è giusto quello che propone e chiede loro, se non mentendo?
Ma Goebbels fece di più: la prima fake news la pronunciò su se stesso. Egli nacque con una deformità congenita, il piede equino, e poi si ammalò, fino a divenire zoppo.
Come mai avrebbe potuto sostenere la superiorità della razza, la morte di coloro che erano malati, l’esclusione dalla società di invalidi senza danneggiare se stesso? Semplicemente mentendo: fece in modo che si pensasse che la sua zoppia derivasse da una ferita di guerra, millantando di aver servito lo stato nel primo conflitto mondiale.
La macchina della propaganda del Reich si nutriva di bufale e notizie false.
La più incredibile portò all'invasione della Polonia.
Questa tecnica fu usata dal Famoso politico Italiano
Le cosiddette fake news non sono nate con Facebook:
uno dei più grandi maestri di propaganda - dispensatore di false notizie - è stato Adolf Hitler. Per tutto il periodo in cui è stato al potere ha messo in circolazione bufale a non finire, sfruttando ogni canale di comunicazione allora disponibile, partendo dai giornali,
passando per radio, cinema e cartoni animati.
BUFALE (COSTOSE).
A gestire il giro di false notizie era il ministero della propaganda, presieduto dal suo braccio destro, Joseph Goebbels. Il tutto non era a costo zero: il Reich spendeva tra un quarto di miliardo e mezzo miliardo di dollari all'anno per finanziarlo
(mentre gli Americani investivano 26 milioni all'anno).
Il risultato fu una macchina del consenso impeccabile che partoriva notizie false a ripetizione
Come i famigerati articoli che alimentarono la campagna contro “la scienza ebraica, massonica e bolscevica” o quelli contro le “orde asiatiche” (i comunisti) e contro gli Ebrei.
La fake news più celebre sul loro conto raccontava che rapivano i neonati prima della celebrazione della Pasqua ebraica perché avevano bisogno del sangue di un bambino cristiano da mescolare con il loro matzah (il pane non lievitato).
LA FAKE NEWS DELLA POLONIA.
Anche la guerra è cominciata con una bufala costruita a tavolino. Prima di attaccare la Polonia (1939) il regime lanciò una campagna mediatica per preparare l'opinione pubblica alla guerra, gonfiando le notizie di "atrocità polacche" che secondo gli organi di regime sarebbero culminate con l'attacco alla stazione radio tedesca a Gliwice.
La notizia venne ripresa da tutti i mezzi di informazione, peccato che fosse falsa: l'attacco era stato fatto da SS tedesche che indossavano le divise polacche. Nessuno se ne accorse e il giorno seguente Hitler annunciò la sua decisione di invadere la Polonia.
GUERRA VIA RADIO.
Tutte queste (false) notizie oltre che sui giornali, circolavano sulle radio: nella città tedesca di Zeesen c'erano otto trasmettitori radio in grado di raggiungere il mondo intero con canali personalizzati per ogni paese.
Le trasmissioni naziste godevano di un discreto consenso, anche fuori dalla madrepatria: il loro modo di raccontare la guerra, irriverente e sarcastico, era ritenuto poco istituzionale e spesso piacevole. Un sondaggio all'epoca rilevava che il 58% degli ascoltatori in Inghilterra ne rimaneva attratto "perché trovava la sua versione delle notizie così fantasiosa da essere divertente".
SIGNAL. Una delle riviste che pilotava di più l'opinione pubblica (oltre ovviamente ai cinegiornali, i notiziari di regime) era Signal, pensata sulla falsariga del settimanale americano LIFE. Anche Signal era a colori e fu distribuita dal 1940 al 1945 in 23 paesi tra quelli neutrali alleati e quelli occupati (era tradotta in oltre 20 lingue). Per realizzarla e promuoverla il regime aveva stanziato un budget equivalente a 2 milioni di dollari (aveva una tiratura di 2,5 milioni di copie).
La redazione era composta da militanti dell'esercito tedesco specializzati in giornalismo, cinema e fotografia incarcati di perlustrare il fronte, recuperando immagini brillanti da mettere in circolazione con stile e brio hollywoodiano.
L'editore rispondeva direttamente all'Alto Comando della Wehrmacht.
MACCHINA DEL CONSENSO. La gente lo comprava e la leggeva con piacere. A conferma che la macchina della propaganda era in grado di far credere alla gente qualsiasi cosa il regime volesse.
Come dirà il Presidente del Reichstag, Hermann Goering al Tribunale di Norimberga al momento del processo che lo incriminò: "Le persone possono sempre essere portate agli ordini dei leader. Tutto quello che devi fare è dire loro che sono stati attaccati, denunciando i pacifisti per la mancanza di patriottismo e perché espongono il paese al pericolo. Funziona allo stesso modo in tutti i Paesi".
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