Lo strano caso della morte di Albino Luciani,
il papa che voleva moralizzare la Chiesa e le finanze vaticane.
Il 26 Agosto del 1978 Albino Luciani fu eletto Papa e successore di Paolo VI.
In Vaticano, parecchie persone non erano contente dell’elezione di Luciani al soglio pontificio ma, forse, il più scontento di tutti era monsignor Marcinkus che fino all’ultimo istante aveva sperato nell’elezione del candidato Giuseppe Siri.
Bishop Paul Marcinkus of Chicago, Illinois.Ma chi era questo Marcinkus? Era una delle pedine fondamentali di quella partita a scacchi che da anni si giocava fra Vaticano e grandi banche e che metteva in palio la possibilità di vedere il proprio capitale aumentare sempre di più .
Marcinkus era il più alto in grado all’interno dello I.O.R., l’Istituto per le Opere Religiose. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che, sin dai suoi primi discorsi, aveva lasciato chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del cristianesimo antico, rinunciando alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri compiti. Figuratevi il capo della banca vaticana come avrebbe mai potuto vedere un tipo del genere sul più alto gradino del proprio stato… Marcinkus diceva ai suoi colleghi: «Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno».
Su due punti Luciani sembrava irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alle logge deviate della massoneria, e l’uso del denaro della chiesa alla stregua di una banca qualunque. E l’irritazione del Papa peggiorava al solo sentire nominare personaggi come Calvi e Sindona dei quali aveva saputo qualcosa facendo discrete indagini.
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla P2, la massoneria deviata di Licio Gelli, buona parte dei quali erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico «O.P. Osservatore Politico» di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite.
Secondo molti, O.P. era una sorta di «strumento di comunicazione» adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi .
Ma, tornando alla lista ecclesiastico-massonica, questa comprendeva, fra gli altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato, matr. 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano, matr. 41/076, 28/9/57, Casa), Paul Marcinkus (43/649, 21/8/67, Marpa), il vicedirettore de «L’osservatore Romano» don Virgilio Levi (241/3, 4/7/58, Vile), Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana, 42/58, 21/6/57, Turo).
Di Albino Luciani cominciò a circolare per la curia l’immagine di uomo poco adatto all’incarico, troppo «puro di cuore», troppo semplice per la complessità dell’apparato che doveva governare.
La morte subitanea, dopo trentatre giorni di pontificato, suscitò incredulità e stupore, sentimenti accresciuti dalle titubanze del Vaticano nello spiegare il come, il quando ed il perché dell’evento. In questo modo, l’incredulità diventò prima dubbio e poi sospetto. Era morto o l’avevano ucciso?
Fu detto all’inizio che Luciani era stato trovato morto con in mano il libro «l’imitazione di Cristo», successivamente il libro si trasformò in fogli di appunti, quindi in un discorso da tenere ai gesuiti ed infine, qualche versione ufficiosa volle che tra le sue mani ci fosse l’elenco delle nomine che il Papa intendeva rendere pubbliche il giorno dopo.
Dapprima, l’ora della morte fu fissata verso le 23 e, quindi, posticipata alle 4 del mattino. Secondo le prime informazioni, il corpo senza vita era stato trovato da uno dei segretari personali del Papa, dopo circolò la voce che a scoprirlo fosse stata una delle suore che lo assistevano. C’erano veramente motivi per credere che qualcosa non andasse per il verso giusto.
Qualcuno insinuò che forse sarebbe stato il caso di eseguire un’autopsia e questa voce, dapprima sussurrata, arrivò ad essere gridata dalla stampa italiana e da una parte del clero.
Naturalmente l’autopsia non venne mai eseguita ed i dubbi permangono ancora oggi. Di questo argomento si occuperà approfonditamente l’inglese David Yallop, convinto della morte violenta di Giovanni Paolo I. Il libro dello scrittore inglese passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978 fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot , il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello I.O.R. Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli maestro venerabile della Loggia P2.
Secondo Yallop, Gelli decise l’assassinio, Sindona e Calvi avevano buone ragioni per desiderare la morte del Papa ed avevano le capacità ed i mezzi per organizzarlo, Marcinkus sarebbe stato il catalizzatore dell’operazione mentre Cody (strettamente legato a Marcinkus) era assenziente in quanto Luciani era intenzionato ad esonerarlo dalla sede di Chicago perché per motivi finanziari si era attirato le attenzioni non solo della sua chiesa ma addirittura della giustizia cittadina e della corte federale. Villot, infine, avrebbe facilitato materialmente l’operazione.
La ricostruzione fatta da Yallop degli affari di Sindona, di Calvi, di Gelli e dello I.O.R., conduce inevitabilmente all’eliminazione del Papa. Il lavoro investigativo di Yallop è buono e non si può non tener conto di tale lavoro soprattutto considerando il fatto che troppi sono i dubbi inerenti le ultime ore di vita del Papa.
Perché e soprattutto chi ha fatto sparire dalla camera del Papa i suoi oggetti personali? Dalla stanza di Luciani scompariranno gli occhiali, le pantofole, degli appunti ed il flacone del medicinale Efortil.
La prima autorità di rango ad entrare nella stanza del defunto fu proprio Villot, accompagnato da suor Vincenza (la stessa che ogni mattina portava una tazzina di caffè al Papa) che verosimilmente fu l’autrice materiale di quella sottrazione.
Perché la donna si sarebbe adoperata con tanta solerzia per far sparire gli oggetti personali di Luciani? Perché quegli oggetti dovevano sparire? Domande destinate a restare senza risposta anche in considerazione del fatto che la diretta interessata è passata a miglior vita.
Una curiosità per chiudere l’argomento: sulla scrivania di Luciani fu trovata una copia del settimanale «Il mondo» aperta su di un’inchiesta che il periodico stava conducendo dal titolo: «Santità...è giusto?» che trattava, sotto forma di lettera aperta al pontefice, il tema delle esportazioni e delle operazioni finanziarie della banca Vaticana. «E’ giusto...» recita l’articolo «...che il Vaticano operi sui mercati di tutto il mondo come un normale speculatore? E’ giusto che abbia una banca con la quale favorisce di fatto l’esportazione di capitali e l’evasione fiscale di italiani?»
da
http://cristianesimo.it/luciani.htm
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i banchieri di dio . del loro dio
I banchieri di Dio, il film di quei drammatici avvenimenti che hanno dominato la scena politica degli ultimi vent'anni e ancora oggi non hanno risposto alla domanda: chi ha ammazzato Calvi?
Il regista Giuseppe Ferrara (sue le pellicole su Moro, Falcone e il generale Dalla Chiesa) ha lavorato a questo soggetto per più di 15 anni, leggendosi montagne di carte giudiziarie. Nel 1987 è già pronta la sceneggiatura, scritta dallo stesso Ferrara e Armenia Balducci, moglie dell'attore Gianmaria Volonté, entusiasta del progetto. Ma la prima doccia fredda viene dalla Penta Cinematografica di Vittorio Cecchi Gori e Silvio Berlusconi. Bocciata quell'idea: un film sulla P2, sull'organizzazione di cui il Cavaliere ha fatto parte? Mai!
Poi, nel 2001, la svolta, con i soldi che il produttore Enzo Gallo raccoglie da ministero dei Beni culturali, Rai Cinema e Tele+. Così, ciak, si gira. Sette miliardi di costo, due ore di suspense, tra giallo e spy story. Omero Antonutti è Roberto Calvi, perfetto nella parte e nella somiglianza: sempre in balia di Ortolani e Gelli (il Gatto e la Volpe). Pamela Villoresi è la moglie Clara. Un massiccio Rutger Hauer è il vescovo Marcinkus, mentre Flavio Carboni, che accompagnerà Calvi nel suo ultimo viaggio londinese, è Giancarlo Giannini, spietato e mellifluo. Francesco Pazienza, vicino ai servizi, è Alessandro Gassman.
Ecco la trama:
Il vescovo Marcinkus, presidente della banca vaticana IOR, lascia Calvi con 1.300 miliardi da restituire a banche sparse in America. Un MILIARDO di DOLLARI inviato in Polonia per aiutare i sindacati, su richiesta del papa, non rientrerà nella disponibilità di Calvi, sarà l'erede di Sindona a fare la fine del suicidato in un balletto perfetto di attori e sosia, Andreotti, Craxi, il papa, la mafia, la massoneria, la Banca d'Italia, la finanza laica e quella del VATICANO.
Un film SCONVOLGENTE. La ricostruzione dei fatti e la successione degli avvenimenti è chiarissima. Si vede la fitta trama di complicità della MASSONERIA DEVIATA, della P2 appena scoperta, delle complicità dei GENERALI dell'Esercito Italiano (Santovito) e della Guardia di Finanza che invano cercano di ostacolare i giudici che indagano in tutte le direzioni.
Un film da seguire battuta per battuta, una successione di fatti e avvenimenti da vedere al rallentatore. Raramente il cinema italiano ha prodotto un film su argomenti di tale gravità, in tempi relativamente vicini ai fatti, e anche per questo con valenza di DENUNCIA CIVILE.
Il BANCO AMBROSIANO VENETO capolinea di traffici internazionali di capitali che finanziavano dittature, commerci illeciti e sindacati polacchi contro il "comunismo" dilagante.
Il papa polacco voluto dal Cardinale Benelli di Firenze, in una chiesa che votava il papa con 10 cardinali non italiani su 100 italiani, dopo il disastro di papa Luciani, proiettò la chiesa di Roma, e quindi l'Italietta repubblicana del Craxismo in un panorama politico internazionale che dalla fine della guerra mondiale gli era stato precluso.
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ENZO BIAGI: C'ERA UNA VOLTA.. ROBERTO CALVI
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C'era una volta un uomo tranquillo che fece un irresistibile ascesa all'interno della prudente e cattolica banca in cui lavorava fino a portarla ai vertici della finanza internazionale per poi distruggerla dissipando migliaia di miliardi di lire con la complicità di politici ed alti prelati e finì impiccato sotto un ponte a Londa in circostanze mai chiarite.
Roberto Calvi, il banchiere di Dio raccontato a Enzo Biagi dalla moglie Clara.
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