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venerdì 4 aprile 2014

Zagrebelsky e Travaglio: Renzi Riforma il Senato


Servizio Pubblico, Travaglio: “Renzi che corre senza motivo“

Editoriale di Marco Travaglio che analizza minuziosamente le riforme di Renzi. E osserva ironicamente: “Lo slogan di Renzi è nuovissimo: “lasciatemi lavorare”. Vi ricorda qualcuno? “Gl’italiani vogliono cambiare”, “il Paese è con me”, “o così o me ne vado”, e chi si oppone è “conservatore”. A parte che in 20 anni la Costituzione è stata modificata 5 volte, è giustissimo cambiare. Ma prima bisogna vedere se in meglio o in peggio. Zagrebelsky” – continua – “Rodotà e gli altri giuristi parlano di svolta autoritaria.


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Ma per Renzi sono “professoroni o presunti tali”. Vi ricorda qualcuno? Goebbels diceva “quando sento ‘cultura’ metto mano alla pistola””. Il vicedirettore de Il Fatto Quotidiano sottolinea che alcune leggi hanno avuto bisogno di pochi giorni per essere approvate: “Il problema quindi non è il Senato, ma le persone che vi siedono dentro”. E aggiunge: “I 140 senatori sono un cocktail con molti ingredienti. Renzi Masterchef. Oddio, piuttosto che giurare su Berlusconi e Verdini, meglio Rodotà e Zagrebelsky”.

Sul Senato della autonomie osserva: “I senatori nominati come fanno ad eleggere il capo dello Stato se nessuno li ha eletti? Poi, i senatori avranno un doppio lavoro. Saranno tutti fuori sede, tranne i romani, e quindi dovranno esserci i rimborsi spesi. La Val d’Aosta avrà gli stessi senatori della Lombardia. Il Senato poi dura cinque anni ed intanto diventa un albergo a ore con porte girevoli e maggioranze che cambiano. E ci si chiede se si cambia in meglio o in peggio”. E aggiunge: “In realtà, col nuovo Senato non si risolve nemmeno un problema dell’Italia. Come ha scritto Antonio Padellaro su Il Fatto Quotidiano Renzi ricorda più Forrest Gump che corre senza motivo“

Gustavo Zagrebelsky spiega le ragioni del suo dissenso.

Una definizione della riforma Renzi? «Un annuncio di rischio». È in sintonia con il resto della Costituzione? «L’insieme, sottolineo l’insieme, mi pare configuri, come si usa dire, una fuoriuscita». Il governo avrà troppi poteri? «La questione è piuttosto chi ne avrà troppo pochi o nessuno: le minoranze, la partecipazione, le istanze di controllo». Il Senato sarà ancora degno di questo nome? «I Senati storici erano altra cosa, ma con le parole si può far quel che si vuole». Governatori e sindaci sono degni di starci? «Dipende dai compiti, cosa non chiara. Piuttosto che farne un pasticcio, sarebbe meglio abolirlo del tutto». Tra Renzi e Grasso chi ha ragione? «Francamente, più saggio m’è parso il presidente del Senato». Quanto c’è di Berlusconi nel disegno di Renzi? «Essendo d’accordo, tutto è di tutti e due. Le schermaglie non sono divergenze sui contenuti, ma timori reciproci di mancamenti ai patti o calcoli d’utilità politica contingente». Il professor Gustavo Zagrebelsky spiega a Repubblica le ragioni del suo dissenso.

Lei non è mai stato tenero con chi ha messo o tentato di mettere mano alla Carta. Sono storiche le bacchettate a Berlusconi. Con Renzi non è che si sta superando?

«C’è un disegno istituzionale che cova da lungo tempo e che, oggi, a differenza di allora, viene alla luce del sole. Gli oppositori d’un tempo sono diventati sostenitori. Delle due, l’una: o tacere, con ciò acconsentendo di fatto, o parlare forte. È quanto s’è fatto col documento di Libertà e Giustizia». Non la imbarazza che Grillo l’abbia firmato?

«Perché dovrebbe? Se, su una certa materia, si condividono le stesse idee… C’è un fondo d’intolleranza, in questa domanda che da molte parti ci è posta. M5S ha aderito all’appello per la difesa della democrazia costituzionale: è un brutto segno? Semmai, il contrario. Poi si vedrà». È seccato perché Renzi ha detto che non dà retta a professori come lei e Rodotà?

«Non è questione di “dar retta”, ma di ragionare e soppesare gli argomenti. Sarà lecito invitare chi deve prendere le decisioni a considerare le cose “da tutti i lati”?».

E quale sarebbe il «lato» che manca?

«L’antiparlamentarismo. Ora s’abbatte sul Senato, capro espiatorio di mali collettivi. È un sentimento elementare che non s’accontenta di qualcosa ma vuole tutto. “Tutto” significa il demiurgo di turno: fuori i trafficanti della politica, i profittatori, i corrotti, gli incompetenti, i chiacchieroni. Eppure, negli anni trascorsi, non sono mancati gli avvertimenti. Si è chiesta “dissociazione”: per riconciliarsi con i cittadini. Siamo stati accusati di antipolitica, di populismo: noi, che ci preoccupavamo di quel che stava accadendo; loro, che preferivano non vedere. E ora, proprio di questo vento gonfiano le vele. Chi sono allora gli antipolitici, i populisti, i demagoghi?».

Ma è un nostalgico del bicameralismo perfetto?

«Per nulla. Ma per mettere mano a una riforma, bisognerebbe chiarirsene il senso. Qual è la vocazione di tutte le “seconde Camere”? I Senati devono corrispondere a un’esigenza di precauzione. La democrazia rappresentativa ha un difetto: divora risorse, materiali e spirituali. È una vecchia storia, alla quale non ci piace pensare. I Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi, dato che la democrazia rappresentativa pensa ai tempi brevi, i Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi: dovrebbero essere “conservatori di futuro”».

Il Senato finora non l’avrebbe fatto?

«Non in misura sufficiente. Per questo, non sono un nostalgico. Mi piacerebbe che si discutesse d’un Senato autorevole, elettivo, per il quale valgano rigorose norme d’incompatibilità e d’ineleggibilità, diverso dalla Camera dei deputati, sottratto però all’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione. Una volta, i senatori erano nominati a vita. Oggi, la nomina e la durata vitalizia non sarebbero “repubblicane”. Ma si potrebbe prevedere una durata maggiore, rispetto all’altra Camera (come era originariamente), e il divieto di rielezione e di assunzione di cariche politiche ».

Ciò significherebbe differenziare i poteri delle due Camere?

«Per ciò, si dovrebbe andare oltre il bicameralismo perfetto, non per umiliare ma per valorizzare: eliminare il voto di fiducia, ma prevedere un ruolo importante sugli argomenti “etici”, di politica estera e militare, di politica finanziaria che gravano sul futuro. Altro potrebbe essere il controllo preventivo sulle nomine nei grandi enti dello Stato, sul modello statunitense. Sarebbe uno strumento di lotta alla corruzione e di bonifica nel campo dove alligna il clientelismo. Insomma, ci sarebbe molto di serio da fare».

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