Le Carte Parlanti

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Mundimago

sabato 30 novembre 2019

Mes, la Riforma è Stata Avviata dalla Lega

Conte: Querelo Salvini per calunnia.


Conte: " Querelo Salvini per calunnia. "
Il primo ministro: "Spazzerò via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni... Vorrei chiarire agli italiani che io non ho l’immunità, lui sì, e ne ha già approfittato per il caso Diciotti. Veda questa volta, perché io lo querelerò per calunnia di non approfittarne più"


Mes, Conte: Salvini presenti esposto, lo querelo per calunnia - "Chi oggi si sbraccia a fare dichiarazioni altisonanti e minaccia, a Salvini se e un uomo d'onore dico questo: vada in Procura a fare l'esposto. Vorrei chiarire agli italiani che non ho l'immunita' perche' non sono parlamentare. Lui ce l'ha e ne ha gia' approfittato per il caso Diciotti. Adesso veda questa volta, perche' lo querelero' per calunnia, di non approfittarne piu'". Lo ha detto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad Accra

Mes, Conte: lunedì spazzerò via menzogne-mistificazioni - Parlando al Parlamento lunedi' "spazzero' via mezze ricostruzioni, menzogne, mistificazioni". Lo dice il premier Giuseppe Conte incontrando i cronisti dopo il suo intervento all'universita' del Ghana, 
interpellato sulla vicenda del fondo Salva-Stati.

Mes, Salvini grida al complotto ma la riforma è stata avviata dalla Lega
“Complotto”, grida Matteo Salvini. “Alto tradimento”, tuona Claudo Borghi. “Congiura perpetrata ai danni dell’Italia”, ripetono come un disco rotto i deputati leghisti, che ieri sera, durante la discussione in Aula sul Mes, sono addirittura scesi nell’emiciclo strattonando il presidente della Camera Roberto Fico e minacciando i colleghi della maggioranza.

Il tutto di fronte agli occhi increduli di due scolaresche in visita proprio in quelle ore in Parlamento. Uno spettacolo indecoroso. Eppure, se questo fosse ancora un Paese normale, oggi l’intera stampa italiana non titolerebbe sulla mega-rissa da saloon ingaggiata dalla Lega con i presunti “traditori del popolo italiano” ma sull’ipocrisia di un partito che, a parole, ha (quasi) sempre criticato il Mes, ma nei fatti ha avallato, sostenuto e sposato il suo processo di revisione, 
a braccetto con il governo gialloverde di cui faceva parte.

È il dicembre 2018 quando l’esecutivo Conte I, di cui la Lega fa parte, avvia i negoziati di modifica del Fondo Salva-Stati. Matteo Salvini partecipa ad almeno due Consigli dei ministri in cui all’ordine del giorno c’è proprio il Mes. Ma agli atti a verbale 
non risulta neppure un fiato da parte del vicepremier.

I negoziati, nel frattempo, vanno avanti. In quei primi mesi del 2019 il dibattito sul Mes è praticamente inesistente su tv e social. La Lega abbozza e tace, e, intanto, nel silenzio delle stanze parlamentari, non fa nulla per fermarlo.

Come ricorda Valerio Valentini sul Foglio, l’allora ministro per gli Affari Europei, Paolo Savona (quello su cui il Presidente della Repubblica ha posto addirittura il veto all’Economia per le sue posizioni No Euro), nella “Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2019” aveva scritto: “Quanto al Mes, l’Italia sarà favorevole ad iniziative volte a migliorare l’efficacia degli strumenti esistenti, rendendone possibile 
l’utilizzo ed evitando l’attuale effetto ‘stigma’”.

Una relazione approvata senza se e senza ma dalla stessa Lega. La stessa Lega che, tra fine febbraio e inizio marzo 2019, all’interno della commissione Bilancio presieduta proprio da Claudio Borghi, ha approvato in due differenti sedute la relazione del deputato leghista Ribolla che riconosceva l’impatto del Mes. Anche in quel caso, nessuna polemica, nessuno strattone, nessuna sedia lanciata.

Se era un “complotto” ordito da oscuri eurocrati filo-tedeschi, deve essere nato nelle ultime 24 ore perché, fino a quando la Lega è stata al governo, i negoziati per la revisione del Mes sono andati avanti lisci come l’olio senza che nessun leghista abbia mai eccepito alcunché.

Ma la comunicazione, si sa, in Italia vale molto di più di una relazione o di un verbale di commissione. E allora quale migliore occasione di una seduta parlamentare come quella di ieri sera per puntare il dito contro Conte, contro il Pd, contro il governo giallorosso, tutti succulenti agnelli sacrificali da utilizzare per la propria propaganda sovranista. Tanto poi, si sa, la mattina dopo basta un anello e una proposta di matrimonio in diretta parlamentare per far dimenticare agli italiani incoerenze e ipocrisie di dodici mesi.

E anche questa sera il “popolo” potrà tornare a chiudere gli occhi con la serenità di essere stati protetti dai sedicenti sovranisti dalle grinfie dell’Europa delle banche, da Frau Merkel e dal governo italiano prono ad ogni suo desiderata. Con tanti auguri di matrimonio. E figli maschi.



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Forse Lucia Borgonzoni in questi  ultimi mesi è stata troppo impegnata a chiedere di parlare di Bibbiano invece che informarsi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Perché ieri a Piazza Pulita la candidata della Lega alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha dato la netta impressione di non sapere – o di non aver capito – in che cosa consista la riforma del MES e in che modo funzioni il Fondo salva stati...

Forse Lucia Borgonzoni in questi  ultimi mesi è stata troppo impegnata a chiedere di parlare di Bibbiano invece che informarsi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Perché ieri a Piazza Pulita la candidata della Lega alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha dato la netta impressione di non sapere – o di non aver capito – in che cosa consista la riforma del MES e in che modo funzioni il Fondo salva stati...                 

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La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES


La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES



Forse Lucia Borgonzoni in questi  ultimi mesi è stata troppo impegnata a chiedere di parlare di Bibbiano invece che informarsi sulla riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità. Perché ieri a Piazza Pulita la candidata della Lega alla presidenza della Regione Emilia-Romagna ha dato la netta impressione di non sapere – o di non aver capito – in che cosa consista la riforma del MES e in che modo funzioni il Fondo salva stati

Borgonzoni: parlaci del MES
Il che è senz’altro curioso, visto che da settimane Salvini e la Lega parlano di un fantomatico complotto ai danni del Paese ordito nientemeno che da Giuseppe Conte per poter mantenere la poltrona di Presidente del Consiglio. Una narrazione che sfida i fatti e la logica (per usare due concetti tanto cari a qualcuno) perché presuppone, nell’ordine, che quando fin dal dicembre del 2018 Conte e Tria hanno partecipato ai negoziati europei per la riforma del MES sapessero che il Governo gialloverde sarebbe caduto entro la fine dell’estate del 2019; e soprattutto presuppone che nessuno dei leghisti al governo (il vicepremier, i i viceministri e i sottosegretari, tra cui la stessa Borgonzoni) non sapessero nulla di quello che stava succedendo. Ma il Governo era perfettamente informato sin dal dicembre del 2018 della volontà di riformare il Fondo salva stati così come il Parlamento era a conoscenza della posizione dell’esecutivo sulla riforma del MES.

La Figuraccia di Lucia Borgonzoni sul MES


In tutto questo poi c’è la senatrice Borgonzoni. Che ieri da Formigli ha detto cose come «noi mettiamo a rischio i nostri titoli di Stato se in ipotetica bisogna rientrare di 120 miliardi in sette giorni si può andare a prenderli da quelli che sono i titoli di stati, indirettamente o direttamente arriva a me sta cosa». Andiamo con ordine, quali sono questi 120 miliardi di euro? La Borgonzoni la spiega così: «sarebbero i fondi che teoricamente noi abbiamo nel vecchio fondo salva stati e possono essere richiesti allo Stato italiano in sette giorni perché se noi vogliamo accedere ci sono una serie di clausole che noi ogni anno dobbiamo rientrare del debito del 20%». Ci avete capito qualcosa? Di fatto la Borgonzoni sta dicendo che qualora l’Italia avesse bisogno di soldi per uscire da una crisi economica dovrebbe dare 120 miliardi di euro in sette giorni. Il che non ha alcun senso perché come spiega Carlo Calenda «se hai bisogno di soldi sono gli altri paesi che li versano, e non tu». Per il semplice motivo che non ce li hai. Questa non è alta finanza, è semplice economia domestica. E già adesso si può chiedere una ristrutturazione del debito
 (che ovviamente comporta un taglio dei titoli di Stato).

La grande confusione di Borgonzoni sul meccanismo backstop per le crisi bancarie
«Ti può essere richiesto in sette giorni», scandisce roboticamente la Borgonzoni, manco il MES fosse gestito da Samara di The Ring. È evidente a questo punto che la Lega sta tentando di fare terrorismo sul Fondo Salva Stati, e il bello è che lo fa senza sapere quello che dice. Il tutto senza dire che l’Italia, essendo detentrice del 17% delle quote del Fondo e visto che si decide con la maggioranza dell’85% ha il potere di veto che le consente di bloccare eventuali intervento di salvataggio per altri stati. C’è poi una linea di credito che aiuta i paesi a rischio di essere “contagiati” dal default di un altro paese. Infine c’è la possibilità di aiutare le banche in difficoltà
 (come è stato fatto in Spagna proprio dal MES).

Secondo la Borgonzoni «probabilmente, succedesse qualcosa ad una banca tedesca la signora Maria che c’ha dei titoli di Stato probabilmente avrà dei titoli di stato che costa meno perché con il Fondo Salva Stati si aiuta una banca tedesca, questo è il fatto». Di nuovo, cosa vuol dire questa affermazione? Assolutamente nulla. Un po’ come quando Salvini dice che il Fondo Salva Stati «è una pistola puntata alla testa dei risparmiatori». Ma come può funzionare che se una banca tedesca è in difficoltà la signora Maria vede perdere di valore i titoli di Stato (si presume italiani) in suo possesso? La Borgonzoni ha una spiegazione: «se il fondo salva stati viene utilizzato per salvare una banca tedesca noi abbiamo un problema: chiediamo anche noi il fondo e a noi dicono per avere quel fondo devi rispettare dei parametri che non lo possiamo rispettare». Non ha alcun senso, perché se una banca tedesca è in difficoltà l’Italia dovrebbe chiedere di accedere alla linea di credito per gli Stati?
 E perché le due cose sono collegate? Borgonzoni non sa, non lo spiega, non risponde.









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Di Battista il Picconatore

Non sono né di sinistra né di destra

Attacco contro Repubblica e i "Matthews" Renzi e Salvini
"Non sono né di sinistra né di destra" scrive in un lungo post su Facebook in cui esorta i grillini su conflitto interessi, Imu, Autostrade e Mes: "Accelerate! Gli altri seguiranno"

“Sono le mie idee, condivisibili o meno ma sono sempre le stesse”. In un lungo post su Facebook, Alessandro Di Battista ribadisce le sue convinzioni - dalla legge sul conflitto di interessi al recupero dell’Imu non versato dalla Chiesa, dalla nazionalizzazione delle Autostrade alla opposizione al Mes - smentisce quanti affermano che stia riportando il Movimento 5 stelle a destra e invita i rappresentanti di M5S ad accelerare su alcuni temi chiave.

“Io non sono né di destra e né di sinistra” afferma Di Battista, che si scaglia contro il quotidiano La Repubblica definendolo il “giornale più liberista d’Italia” 
e il rappresentante della “peggior destra conservatrice”.

Quella che odierebbe le nazionalizzazioni (non è un segreto che i Benetton abbiano foraggiato con pubblicità per anni La Repubblica), quella che odierebbe favorire l’entrata degli operai nella proprietà delle aziende in crisi, quella che odia Trump anche se è stato il Presidente, ad oggi, meno guerrafondaio dai tempi di Jimmy Carter e certamente più “pacifista” del premio Nobel per la Pace Obama, responsabile, insieme a Sarkozy, Napolitano e Berlusconi della guerra in Libia che ha provocato morti e destabilizzazione oltre che l’avanzata del fondamentalismo islamico.

Secondo Di Battista, ad esempio, i liberal di oggi “cercano di rifarsi una coscienza parlando di ambiente” con “ipocrite e banali prese di posizione liberiste che vogliono far pagare i danni ambientali ai poveri cristi e non a chi inquina davvero”. Un esempio è lo sponsor alle “grandi opere inutili” da parte dei “giornaloni della pseudo-destra o della pseudo-sinistra in perfetta sintonia con i “Matthews” (Renzi e Salvini, i “Matthews”, sono incredibilmente simili, sulla politica economica, sulle privatizzazioni e sulla politica estera la pensano allo stesso identico modo). Ma su tutto questo le battaglie non si fanno o si fanno solo di facciata”.

Di Battista esorta M5S ad avere il “coraggio di scagliarsi contro il falso ambientalismo abbracciando proposte concrete quali il telelavoro”, anche nella P.A.; di combattere “contro le nuove forme di corruzione” che oggi foraggia la politica e ne detta la linea attraverso “le consulenze e le conferenze”, con una legge sul conflitto di interessi. 

Io non so come finiranno le inchieste sulla fondazione renziana Open. Ma il punto è politico. Nel 2016 Alberto Bianchi, ex-Presidente di Open (grande amico di Renzi e piazzato dal rottamatore dell’etica politica nel CDA di ENEL) ha ricevuto consulenze da centinaia di migliaia di euro dal gruppo Toto, il gruppo che gestisce le autostrade A24 e A25. Poco dopo Bianchi ha versato centinaia di migliaia di euro alla Fondazione Open, fondazione che, a quanto pare, metteva a disposizione di politici renziani carte di credito. Ma la questione centrale è un’altra. Nel 2017, il governo Gentiloni, controllato di fatto da Renzi che oltre a vari ministri piazza la Boschi come numero 2 a Palazzo Chigi, fa un bel favore al gruppo Toto: un abbuono di 121 milioni di euro per la concessione dell’autostrada dei parchi. È lecito pensare che il gruppo Toto abbia di fatto elargito centinaia di migliaia di euro alla fondazione Renziana (passando attraverso la consulenza ad Alberto Bianchi) per poi vedersi restituito il favore dal governo Gentiloni? Magari è ancora legale questa roba (vedremo l’inchiesta), ma è vomitevole.

Come sarebbe vomitevole scoprire che il senatore semplice di Scandicci, Impruneta, Signa e Lastra a Signa, riceva compensi da parte dei sauditi. Ormai Renzi sta più a Riad che a casa sua. Perché ci va? Partecipa a convegni? Fa l’ospite d’onore nelle conferenze sulle armi? Riceve denaro per questo? Sarebbe gravissimo che un senatore della Repubblica italiana fosse pagato da un paese straniero. Non sarebbe un palese conflitto di interessi?

Di Battista invita i pentastellati: “Accelerate! Soprattutto adesso. Luigi lo sta facendo e lo sostengo per questo. Accelerate sul conflitto di interessi, sulla nazionalizzazione di autostrade, sulla commissione di inchiesta sul finanziamento ai partiti, sul recupero dell’Imu non versato dagli istituti religiosi”. Facendo così renziani e Pd seguiranno, perché 2se si dovesse andare ad elezioni adesso, non solo prenderebbero meno voti di Calenda ma molti di loro perderebbero l’immunità parlamentare e mai come ora credo ne abbiano bisogno...”




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PROSTITUZIONE: EX SINDACO LEGHISTA NEI GUAI

PROSTITUZIONE: EX SINDACO LEGHISTA NEI GUAI

PROSTITUZIONE: EX SINDACO LEGHISTA NEI GUAI
Bufera in casa Lega Nord: immediata l'espulsione

E’ l’ex sindaco leghista di Silea lo sfruttatore di prostitute denunciato nell’ambito dell’indagine della squadra mobile di Treviso che ha scoperto alcuni appartamenti a luci rosse in via Dell’Olmo alle Stiore. Una notizia che ha sconvolto l’intera Silea e che ha provocato una vera e propria bufera in casa Lega Nord dove la reazione è stata immediata: Biasin è stato espulso dal partito.


Cesare Biasin, 46 anni, ex primo cittadino ed oggi consigliere comunale della Lega Nord è accusato dei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Secondo gli inquirenti avrebbe, infatti, affittato a nome suo, o avvalendosi di un’amica come prestanome, alcuni appartamenti nella palazzina di via dell’Olmo alle Stiore. Case nelle quali, sempre secondo le accuse, Biasin sistemava giovani prostitute che lì ricevevano i clienti. In cambio le ragazze dovevano corrispondergli una somma di 350 euro a settimana. Un’attività che, secondo gli inquirenti, l’uomo ha portato avanti per oltre un anno arrivando ad intascare oltre 5 mila euro al mese.

Secondo gli investigatori sarebbero almeno 3 gli appartamenti nella disponibilità dell’ex sindaco. In uno di questi lavoravano due prostitute rumene di 32 e 35 anni. Nel terzo, scoperto solo ieri, gli agenti hanno trovato un transessuale siciliano che ha ammesso di corrispondere all’indagato una somma di 500 euro a settimana. Dai primi riscontri pare inoltre che il compito di Biasin non fosse solo quello di sistemare nelle case ragazze e trans, ma che li aiutasse anche a pubblicizzare la propria attività con appositi annunci su giornali e siti internet.

Un sistema portato avanti dall’ex sindaco per oltre un anno e che lo ha fatto diventare un nome noto degli ambienti del sesso mercenario tanto che erano le varie Isabella, Cristal o Sandra a cercarlo grazie ad un passaparola. Almeno una decina secondo gli inquirenti, le ragazze che si sono avvicendate negli appartamenti per un giro di clienti e d’affari al momento non ancora quantificato ma che si suppone molto elevato visto anche le numerose segnalazioni da parte degli altri residenti nel palazzo molestati dal continuo via vai di uomini ad ogni ora del giorno e della notte.

Le indagini da parte degli inquirenti continuano a tutto campo: “Vogliamo comprendere – spiega Riccardo Tumminia, dirigente della Squadra Mobile di Treviso -, se i proprietari fossero a conoscenza dell’esercizio della prostituzione ma più di ogni altra cosa del favoreggiamento dello sfruttamento della prostituzione”

LE REAZIONI

A Silea è stata la notizia del giorno. Non si è parlato d’altro neppure in via Bassa Trevigiana dove Biasin vive con la moglie e due figli. I vicini, 
che li descrivono come una coppia tranquilla, sono rimasti stupiti.

La moglie si è chiusa in casa e non vuole rilasciare dichiarazioni, travolta da uno scandalo di cui non aveva avuto il minimo sentore. Una vera e propria bufera è invece scoppiata in casa Lega Nord. La notizia accolta dai vertici del partito con grande imbarazzo ha provocato
 l’espulsione immediata di Biasin.

Il segretario provinciale e Sindaco di Vittorio Veneto Gianantonio Da Re, già questa mattina ha inviato un telegramma all’ex sindaco per informarlo che: “I gravi fatti personali che la coinvolgono sono in netto contrasto con i principi del movimento Lega Nord Liga Veneta e quindi le comunico l’immediata espulsione dal movimento. Da questo momento 
lei rappresenta solo ed esclusivamente se stesso”.

Milvana Citter



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La procura di Torino indaga per un presunto tentativo di sottrarre alcuni documenti dall'Archivio di Stato di Torino. Protagonista della vicenda Mario Borghezio, storico esponente della Lega a lungo deputato e parlamentare europeo. Un'impiegata dell'Archivio accusa il politico, appassionato di storia, di avere cercato di portarsi a casa alcuni documenti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale e relative alle misure di prevenzione dei bombardamenti.
Un "equivoco" per Borghezio, che voleva soltanto fotocopiare le carte, anche se il regolamento non lo prevede. "Sono un grande appassionato di storia: volevo poter fotocopiare quei documenti che rappresentano un unicum. Ma le pare che possa rubare qualcosa?" si difende l'ex eurodeputato.
L'episodio è stato segnalato ai carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale (Tpc). E ora, a fare luce sulla vicenda, sarà la Procura di Torino, 
intenzionata a capire se l'ex parlamentare ha agito realmente in 'buona fede'.




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venerdì 29 novembre 2019

Leghisti nel Parlamento Italiano

Leghisti che decidono di usare la Camera come se fosse un’Arena,


Ieri risse, oggi proposte di Matrimonio: 
ecco cos’è il Parlamento per i leghisti



Leghisti che decidono di usare la Camera come se fosse un’Arena, accerchiano il presidente della Camera Fico, urlano come tifosi con esubero di ormoni, distruggono una sedia e poi decidono di aggrovigliarsi in una rissa da strada. La scena, rappresentata di fronte alle scolaresche in gita al parlamento ha fatto il giro dei giornali.



Il parlamento come bidet. Vien anche da scriverlo minuscolo, sperando in fondo di non parlare del parlamento come è stato inteso dai padri costituenti, da coloro che davvero hanno immaginato un luogo che raccogliesse la migliore rappresentanza possibile di quelli che stavano fuori, dal parlamento. È una doppietta di eventi che ti aspetteresti di leggere nelle colonnine di lato dei siti di informazione, quelle con le ultime foto della vacanza scapezzolata di qualche influencer o dell'ennesimo cafona a andata in diretta tivvù e invece le immagini della rissa di ieri alla Camera sono all'ordine del giorno, come si dice secondo l'eleganza burocratizzata dei verbali del Parlamento.

Leghisti che decidono di usare la Camera come se fosse un'Arena, accerchiano il presidente della Camera Fico, urlano come tifosi con esubero di ormoni, distruggono una sedia e poi decidono di aggrovigliarsi in una rissa da strada. La scena, rappresentata di fronte alle scolaresche in gita al parlamento ha fatto il giro dei giornali. Mi viene da pensare agli insegnati e a quegli alcuni che si sono dovuti ripulire dagli sputazzi rissosi dei presunti onorevoli: "Maestro, perché si sono picchiati?", l'avrà chiesto sicuramente qualche alunno incapace di trattenere la curiosità, e mi immagino l'insegnante concentrato a dovere spiegare, di colpo, tutte le brutture del contemporaneo e le miserie di una classe che dovrebbe essere dirigente. Per pietà, che trauma per gli alunni, pietà.

Ma non stupisce, no, che i leghisti cerchino il minuto di gloria serrando i pugni: è la loro nuova cultura, che si finge nuova ma che in realtà è vecchissima e purtroppo perfettamente conosciuta, quella che li vede emergere dall'anonimato solo se riescono a alzare talmente i toni (anni, sarebbe meglio dire abbassarli) perché non hanno argomenti. Meno idee hai e più hai bisogno di gridare: regolina semplice semplice che ormai conoscono tutti.



Stupisce poi che quelli che si rendono protagonisti di tutto questo siano gli stessi che si offendono se li chiami per quello che sono: squadristi. Squadristi che vigliaccamente funzionano in gruppo protetti dalla violenza collettiva, felici di buttare tutto in rissa per non doversi confrontare sui temi. Rissosi squadristi che interpretano le istituzione semplicemente come luoghi (da frequentare dietro a lauto compenso) dove potersi ritagliare qualche secondo di pubblicità. Squadristi per il nanismo intellettuale con cui riescono pdf approcciarsi alla realtà: solo in branco, solo urlando.


E oggi il leghista Di Mauro, in quella stessa Camera, decide di deliziarci con una proposta di matrimonio. Per loro non è il Parlamento, per loro è solo un bidet.


E oggi il leghista Di Mauro, in quella stessa Camera, decide di deliziarci con una proposta di matrimonio. Per loro non è il Parlamento, per loro è solo un bidet.

( Elisa ha rifiutato la proposta di matrimonio )





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mercoledì 27 novembre 2019

La Regione Sardegna Entrerà nell'Esercizio Provvisorio per il 2020

La Regione Sardegna  Entrerà nell'Esercizio Provvisorio per il 2020


TEMPO SCADUTO per la Finanziaria in Sardegna !!! 
La Regione entrerà nell'esercizio provvisorio per il 2020. 

La giunta Solinas non riuscirà ad approvare la legge di bilancio entro Natale e dovrà 
obbligatoriamente continuare con la sola amministrazione ordinaria fino a febbraio o marzo se tutto va bene. Le conseguenze negative sono la "perdita" e/o il blocco degli investimenti e delle spese 
straordinarie. E' ufficiale, il Governo Solinas della Sardegna non potrà per dicembre battezzare la sua 
prima finanziaria per mancanza dei tempi tecnici. Se alla Giunta Solinas questo non sembra un 
"disastro" che lo vada a dire direttamente ai sardi, delusi del risultato e consapevoli della colossale 
inefficienza nella gestione pubblica sarda. Purtroppo, non ci sono giustificazioni tecniche e politiche che tengano, il ricorso all'esercizio provvisorio dimostra una palese incapacità di governare ed una 
macroscopica incompetenza della Giunta Solinas di colore leghista.

Sardegna, nella legge di Bilancio c’è la norma ‘salva-amici’:
 “Così Solinas vuole blindare due nomine illegittime”

L'esecutivo regionale vuole far approvare una "interpretazione autentica" delle norme che regolano la cooptazione dei dirigenti esterni. Secondo l'opposizione serve per confermare Antonio Belloi, chiamato a dirigere la Protezione civile regionale, e l'avvocatessa Silvia Curto, già "dirigente" dello studio del legale del governatore, nominata direttore generale della Regione su indicazione del governatore. Ma "senza i requisiti previsti dalla legge, 
che impone almeno 5 anni di funzioni dirigenziali"

Dice il vecchio adagio che la legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici. Non sarà questo il caso, ma la giunta regionale guidata dal sardoleghista Christian Solinas
 non fa nulla per fugare i dubbi. 

Letteralmente. Nel senso che l’esecutivo ha tutta l’intenzione di far approvare una “interpretazione 
autentica“, appunto, delle norme che regolano la cooptazione dei dirigenti esterni. Poche righe inserite nel disegno di legge sull’assestamento di bilancio, 
che spalancano le porte degli uffici di vertice della 

Regione anche ai dipendenti di “amministrazioni statali” e agli “avvocati” con almeno un quinquennio di esperienza lavorativa. Sarà un caso, ma la norma ben si attaglia al vigile del fuoco e ingegnere Antonio Belloi, chiamato da Solinas a dirigere la Protezione civile regionale e all’avvocatessa Silvia Curto, già “dirigente” dello studio del legale di Solinas, nominata direttore generale della Regione su indicazione del governatore. Ma “senza i requisiti previsti dalla legge, che impone almeno cinque anni di funzioni dirigenziali”, aveva tuonato l’opposizione di centrosinistra all’indomani delle nomine, dopo aver passato al setaccio i curricula un poco mutevoli – ben cinque, tutti diversi – di Belloi e Curto. Da qui la contromossa della giunta regionale, che al passo indietro invocato dalla minoranza ha preferito 

l’opzione dell’interpretazione autentica. Che di fatto, se approvata così come formulata, nei piani della giunta blinderebbe ex post le nomine targate Solinas.

Prima di approvare la legge e mettere in salvo il risultato però, la giunta dovrà fare innanzitutto i conti con i 1500 emendamenti depositati dall’opposizione, con l’obiettivo di rallentare l’iter consiliare di una norma finanziaria che, per legge, deve essere votata entro pochi giorni.




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martedì 26 novembre 2019

Liliana Segre Sbugiarda la Meloni

La Segre sbugiarda la Meloni


Giorgia Meloni si è accorta di aver fatto un gesto forse troppo forte persino per lei quando ha imposto ai suoi di astenersi dal votare la “mozione Segre”. E, in aggiunta, mentre tutto il parlamento rendeva omaggio alla senatrice a vita, quelli di Fratelli d’Italia- insieme a Lega e Forza Italia – sono rimasti seduti. La leader di destra, dunque, ha provato a rimediare, ma la toppa è decisamente peggiore del buco. Come a giustificarsi per l’astensione sul voto di una mozione che difende i valori dell’antifascismo e che attacca l’antisemitismo (evidentemente la Meloni è a favore del fascismo e dell’antisemitismo) ha detto: “Ci siamo astenuti perché difendiamo la famiglia”.

Bah! Cosa avrà voluto dire la Giorgia nazionale? A riferire il tutto è la stessa senatrice Liliana Segre: “Mi ha telefonato l’altra sera: ‘Sa, ci siamo astenuti perché noi difendiamo la famiglia’. Le ho risposto: ‘Cara signora, io difendo così tanto la mia famiglia che sono stata sposata per sessant’anni con lo stesso uomo’. Qualcuno mi dovrà spiegare cosa c’entri tutto questo 
con la Commissione contro l’odio”.

La Meloni incalza: “Trovo triste e grave che qualcuno abbia avuto la spregiudicatezza di sostenere l’assurda tesi secondo la quale i partiti di centrodestra si sarebbero astenuti sull’istituzione della Commissione perché contrari a contrastare il razzismo e l’antisemitismo”, ha dichiarato in un secondo momento. E poi: “Come sostenuto da personaggi ben più autorevoli di me, la Commissione approvata dalla maggioranza appare uno strumento molto debole di contrasto all’antisemitismo ma al contempo uno strumento molto forte di censura politica”.

L’astensione del centrodestra, però, continua a fare rumore. La Comunità ebraica romana e il Vaticano intervengono con toni critici e preoccupati. E non resta indifferente nemmeno il Quirinale, dove Sergio Mattarella, parlando degli orrori della Guerra Mondiale, pronuncia un monito che da tutte le forze politiche viene collegato a quanto accaduto a Palazzo Madama: “Non bisogna abbassare mai la guardia, sottovalutare tentativi che negano o vogliono riscrivere la storia contro l’evidenza, allo scopo di alimentare egoismi, interessi personali, discriminazioni e odio”.

“Sconcerta un po’ l’astensione di alcune forze politiche, una scelta che riteniamo sbagliata e pericolosa – dice la presidente degli ebrei romani Ruth Dureghello -. In questo momento c’è bisogno di unità e non bisogna lasciare adito ad alcuna ambiguità”. Si dice invece “preoccupato” il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin: “Su alcune cose, su valori fondamentali dovremmo essere tutti uniti – commenta -. Ci sono cose su cui dovremmo convergere”.

“Non c’è dubbio che questo è un tema che deve accomunare tutti – afferma il presidente della Camera Roberto Fico -. Non ci possono essere distinzioni di parte”. Critiche anche dall’Associazione nazionale partigiani (Anpi), che parla di “atteggiamento grave e fortemente irresponsabile, interpretabile come atto di legittimazione dei fenomeni che la Commissione intende contrastare”.

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La Lega Pagava i propri Dipendenti con Soldi Pubblici

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 La testimone: ‘O accettavi o dovevi trovarti un nuovo posto di lavoro’

I Vertici della Lega Sapevano è un Sistema Consolidato

La seconda parte dell’inchiesta di Fanpage.it sui dipendenti della Lega pagati con soldi dei gruppi regionali: ecco le testimonianze esclusive e le dichiarazioni rese davanti ai giudici da parte di ex dipendenti del Carroccio. “O si accettava quello o non c’era niente, quindi o così o così, uno doveva trovarsi un altro posto di lavoro se non accettava”.

C'è un nuovo testimone che conferma quanto abbiano raccontato, e alcuni verbali di interrogatorio che mettono nero su bianco le accuse nei confronti della Lega: per anni, il partito ha pagato con soldi pubblici delle Regioni decine di suoi dipendenti, e l'ha fatto di sicuro sia in Lombardia che Piemonte. I documenti giudiziari ribadiscono il ruolo di Giancarlo Giorgetti al vertice del sistema, e tirano in ballo un gruppetto di deputati attuali della Lega.

Nella scorsa puntata dell'inchiesta avevamo raccontato il caso della Lombardia, dove secondo una fonte interna al partito per almeno 15 anni, dal 2003 al 2017, una ventina di dipendenti della Lega Lombarda è stata retribuita con soldi pubblici, facendo risparmiare alle casse del partito circa 7 milioni di euro. I vertici nazionali del partito
 – Salvini e Giorgetti – non hanno risposto alle nostre domande. 


Oggi possiamo svelare nuove accuse che riguardano questo meccanismo usato segretamente per anni dal più popolare partito italiano. A parlare è Loredana Zola, per anni segretaria amministrativa della sezione piemontese della Lega Nord: «Gestivo la contabilità della segreteria del Piemonte e delle oltre 140 sedi periferiche che c'erano in Regione, all'occorrenza poi venivo chiamata a Milano per dare una mano in segreteria federale». Zola ha lavorato nel partito dal 1993 fino al licenziamento collettivo, avvenuto nel 2017, quando Salvini ha definitivamente lasciato a casa quasi tutti gli storici dipendenti padani, una settantina in tutto. L'ex impiegata della Lega spiega «dal 2008 a dicembre 2017 in Piemonte una decina di persone è stata pagata con soldi dei consigli regionali, nonostante lavorassero per il movimento». Lo stesso meccanismo usato in Lombardia fin dal 2003, come abbiamo raccontato. Sotto la Mole, i responsabili del trucco leghista pagato dai tutti i contribuenti italiani sono stati i massimi responsabili del partito di allora, dice Zola: «Roberto Cota era il segretario politico del Piemonte, poi c'era Elena Maccanti (oggi deputata), Stefano Allasia (attualmente deputato e presidente del consiglio regionale del Piemonte) e Mario Carossa (ha lasciato la politica, allora era il capogruppo regionale)».  

Maccanti e Allasia non hanno risposto alle nostre richieste di chiarimento. L'ex presidente del Piemonte Cota si è limitato a scriverci: «Non faccio più politica da diversi anni. Anche in precedenza non mi occupavo di personale e di gestione del gruppo regionale». Davanti alla richiesta di commentare le accuse di Loredana Zola, Cota non ci ha risposto.

Molte cose raccontate a Fanpage.it sono state dette dall'ex responsabile amministrativa della Lega in Piemonte anche durante un piccolo processo che si sta svolgendo a Torino, e che il mese prossimo dovrebbe arrivare a sentenza. Nel 2013 la procura piemontese ha messo sotto inchiesta per truffa lo stesso Carossa e Barbara Lacchia, ex segretaria della Lega. Motivo? Esattamente lo stesso: Lacchia sarebbe stata pagata per anni con soldi del gruppo Lega in Piemonte nonostante lavorasse come segretaria personale di Matteo Brigandì, già parlamentare e avvocato della Lega oltreché di Umberto Bossi. L'accusa è di truffa. Carossa, che della truffa sarebbe stato uno degli esecutori, ha deciso di non difendersi ottenendo la messa alla prova e poi l'estinzione del reato. 
Barbara Lacchia ha scelto invece di farsi processare. 
Rischia una condanna a 8 mesi per aver 
indebitamente intascato soldi pubblici, tra il 2011 e il 2012.

Per difendersi dall'accusa, l'ex segretaria ha chiamato a testimoniare due sue ex colleghe: Loredana Zola, appunto, ed Enrica Brambilla, responsabile dell'amministrazione della Lega in Lombardia, una delle prime dipendenti assunte in via Bellerio. 

La Lega Pagava i propri Dipendenti con Soldi Pubblici


È proprio dalle loro testimonianze che trova conferma quanto ci ha raccontato la nostra fonte. Le due storiche segretarie della Lega hanno infatti spiegato che quanto fatto con Lacchia è avvenuto con molte altre persone. «Era una prassi consolidata addirittura gestita dai vertici», ha messo a verbale Brambilla citando tra i beneficiari di soldi pubblici «Franco Zucca, Marco Citterio, Giampaolo Pradella, Luciano Grammatica, Rita Malegori, Raffaele Volpi, Andrea Robbiani, Lucio Brignoli, Simona Guerrieri: ebbero tutti contratti con enti regionali facendo lavori non per la regione o addirittura ricoprendo ruoli interni alla Lega. Tutto era dato per legittimo e gestito da Giorgetti, il capogruppo e i vari assessori». Qualcuno in Lega si è mai chiesto se questa prassi fosse legale? «No, il discorso era un po’ diverso», è la risposta a questa domanda data da Brambilla davanti ai giudici di Torino: «O si accettava quello o non c’era niente, quindi o così o così, uno doveva trovarsi un altro posto di lavoro se non accettava».

Ai 15-20 dipendenti lombardi pagati con soldi pubblici se ne aggiunge un'altra decina piemontese. Loredana Zola ha dichiarato infatti che di questo meccanismo hanno beneficiato altre 10 persone della Lega. L'ex segretaria del partito ha messo a verbale una lista di persone che, a detta sua, lavoravano per il partito ma per anni sono stati pagati con fondi della Regione. 

C'è Riccardo Molinari, oggi capogruppo della Lega alla Camera oltreché vice segretario federale; Alessandro Benvenuto, deputato e presidente della commissione Ambiente; Andrea Giaccone, deputato e presidente della Commissione Lavoro; Michele Mosca, consigliere regionale e vicesegretario di Lega Salvini Piemonte; Alessandro Ciro Sciretti, consigliere comunale di Torino fattosi conoscere a livello nazionale per aver invitato la polizia a usare il metodo «scuola Diaz» contro gli organizzatori di una manifestazione avvenuta nel capoluogo piemontese lo scorso febbraio.

Abbiamo chiesto un commento a tutte le persone citate da Zola nel verbale agli atti della procura. Benvenuto, Mosca e Sciretti non ci hanno risposto. L'onorevole Giaccone ci ha scritto di non aver mai preso uno stipendio dal gruppo regionale della Lega in Regione Piemonte; non ci ha detto se è stato pagato in quegli anni come collaboratore della Regione Piemonte. Molinari, capogruppo alla Camera, ha invece risposto garantendo di non aver «mai ricevuto uno stipendio come collaboratore dal gruppo o dalla Regione».

I dati sui contratti di collaborazione resi pubblici dalla Regione Lombardia e dalla Regione Piemonte sono pochi e scarni: arrivano al massimo al 2013, in più non permettono di conoscere i dettagli dei contratti, come ad esempio le condizioni di lavoro con cui il collaboratore era assunto. Di certo le testimonianze di Brambilla e Zola dicono che c'erano almeno 25 persone pagate con soldi pubblici per svolgere un lavoro privato. Se ognuno di loro costava alla Regione circa 2mila euro al mese, come dicono le due ex impiegate, il totale usato a favore della Lega dal 2003 al 2017 arriva a 9 milioni di euro. E questo se il trucco finanziario si è interrotto nel 2017 e ha coinvolto esclusivamente Lombardia e Piemonte. Altrimenti il conto potrebbe salire. Una possibilità che la testimone Zola non esclude: «Visto ci veniva descritta come prassi», dice, «presumo venisse usato anche in altre regioni con presenza leghista».


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domenica 24 novembre 2019

La chat che inguaia la Lega


Un intreccio di cene e pranzi privati tra personaggi illustri e circoli esclusivi, un microcosmo dove interessi privati e di partito si intrecciano costantemente. Il tutto con l’ombra del finanziamento illecito, la spada di Damocle sulla testa di una Lega che ora inizia a preoccuparsi.



Un intreccio di cene e pranzi privati tra personaggi illustri e circoli esclusivi, un microcosmo dove interessi privati e di partito si intrecciano costantemente. Il tutto con l’ombra del finanziamento illecito, la spada di Damocle sulla testa di una Lega che ora inizia a preoccuparsi. A rivelare quanto accaduto dietro le quinte del Carroccio è l’Espresso, che ha anche pubblicato stralci di una conversazione avvenuta in chat tra il tesoriere della Lega, 
Giulio Centemero, e l’imprenditore Luca Parnasi.



Nell’inchiesta di Giovanni Tizian, gli stralci delle chat tra il tesoriere del Carroccio e il costruttore romano. “Per Iban et similia facciamo de visu o vuoi tutto in anticipo?” avrebbe chiesto a un certo punto Centemero a Parnasi su Telegram, social al quale i due facevano ricorso perché assicura meno tracciabilità nelle comunicazioni. Ma dalle chat non emergerebbero solo relazioni di potere e passaggi di soldi, ma anche, secondo gli inquirenti, finanziamenti illeciti.

Il leader della Lega, si legge ancora su l’Espresso, Matteo Salvini ha dichiarato di aver conosciuto Parnasi e di averlo incontrato quando era andato allo stadio insieme a lui. Ma ci sarebbe di più, ed emergerebbe proprio da quelle chat: Salvini sarebbe stato a cena da Parnasi insieme al suo numero due, Giancarlo Giorgetti, tre mesi prima delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, nel periodo natalizio.“Ciao Luca, volevo ringraziarti molto per la cena, hai messo al tavolo delle persone di valore e sono contento Matteo ci si sia confrontato” si legge nella chat tra il tesoriere e il costruttore romano. I due si conoscevano eccome, quindi. E quella non sarebbe stata l’unica occasione di incontro: i leader leghisti e Parnasi si sarebbero visti già due anni prima, nel 2016, a una cena di gala. “Una cena di foundraising (sic!) Nessuna domanda sarà illecita, unica regola è farla in pubblico e condividerla… io lo chiamo fight club” avrebbe detto Centemero.
Centemero è accusato di aver preso donazioni illecite dal costruttore Luca Parnasi attraverso l’associazione Più Voci, mentre i bilanci ufficiali della Lega erano già sotto i riflettori e al centro della richiesta di restituzione dei 49 milioni di rimborsi elettorali dell’era Belsito.

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 della Lega Nord a Roma...
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Addestrati negli Usa i Golpisti Boliviani


Addestrati negli Usa i Golpisti Boliviani

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Addestrati negli Usa i Golpisti Boliviani
A poche settimane dal colpo di stato che ha estromesso Evo Morales dalla presidenza, dopo inesistenti accuse di brogli, sono stati pubblicati gli audio relativi alle conversazioni della “cupola” dentro gli apparati di sicurezza, che dimostrano come tutto era stato preparato nei minimi dettagli grazie all’addestramento a stelle e strisce.

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General Williams Kaliman_el jefe de las FFAA de Bolivia

 La tornata elettorale del 20 ottobre era già stata pianificata come la giornata del non ritorno. Si perché l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), attraverso il supporto diretto di Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile e di Iván Duque presidente colombiano, e da potenti gruppi evangelici, doveva semplicemente denunciare dei brogli, che non c’erano, e far montare la rivolta dei gruppi organizzati, finanziati dalla agenzia statunitense USAID, diversi anni prima,
 proprio per sovvertire il Presidente Indios.


Così, non appena la voce dei brogli si diffondeva, uscivano dal nulla Luis Fernando Camacho, presidente del Comitato per Santa Cruz, e Marco Pumari, leader civico di Potosí. Questi, cominciavano a mettere a ferro e fuoco il paese. Morales, messo alle strette, faceva il tentativo di sospendere il Tribunale Supremo Elettorale, accusato di aver generato brogli che non ci sono stati, e indire nuove elezioni. L’OSA annunciava un Audit per spiegare l’entità dei brogli. Ma non spiegava niente, se non reiterare le accuse senza prove: già era stato tutto deciso.

La polizia scendeva nelle strade insieme ai miliziani finanziati dall’USAID, alla caccia dei dirigenti del MAS, il Movimento per il Socialismo di Morales. Il presidente democraticamente eletto, veniva consigliato dal capo dell’esercito di dimettersi per pacificare il paese. Morales accettava, ma anziché pacificare i golpisti avevano già emesso un mandato di cattura per il presidente, contemporaneamente al repulisti dei dirigenti del MAS: linciaggi, case bruciate, arresti arbitrari… Morale fuggiva in Messico… Infine, c’è da dire che già il 22 ottobre, il Center for Economic and Policy Research (CEPR), aveva segnalato l’assoluta regolarità delle elezioni boliviane, al punto che Morales in realtà aveva guadagnato più voti regolari di quelli realmente certificati…

Il resto è cronaca di questi giorni, dove per ordine del nuovo vertice dello stato, insediatosi arbitrariamente, parliamo dell’autoproclamata presidente Jeanine Anez, la polizia ha licenza di uccidere per le strade chiunque, senza doverne rispondere…

Dopo le rivelazioni di qualche anno fa sul piano Condor diventa difficile ormai per gli Stati Uniti, rendere segreti i programmi e le strutture organizzative per il controllo militare dell’America Latina.

All’estrema destra Calderón Mariscal a scuola dall’ FBI
Controllo che avviene all’interno delle sedi diplomatiche, i cui addetti militari, quindi gli alti ufficiali dell’esercito, ma anche delle forze dell’ordine, vengono inseriti in veri e propri programmi formativi, organizzati didatticamente dall’FBI, dove vengono insegnate due discipline: “Comando e stato maggiore” e “Guerra di controinsurrezione”. Il primo corso è, come dire, il fiore all’occhielo del WHINSEC, o meglio conosciuta “School of the Americas”, presso Fort Benning in Georgia.

Ora, il capo dell’esercito, il generale Williams Kalimán Romero, colui il quale consigliò a Morales di dimettersi, è stato addetto militare della Bolivia a Washington dal 2013 al 1016. Ma già, a quanto sembra, il corso per adetti militari della WHINSEC lo aveva seguito nel 2003. Il comandante della polizia, il generale Vladimir Calderón Mariscal, colui il quale per primo si è schierato con i miliziani golpisti, per il repulisti dei dirigenti MAS, è stato presidente degli addetti di polizia dell’America Latina, a Washington fino a dicembre 2018.

A poche settimane dal colpo di stato che ha estromesso Evo Morales dalla presidenza, dopo inesistenti accuse di brogli, sono stati pubblicati gli audio relativi alle conversazioni della “cupola” dentro gli apparati di sicurezza, che dimostrano come tutto era stato preparato nei minimi dettagli grazie all’addestramento a stelle e strisce.

A poche settimane dal colpo di stato che ha estromesso Evo Morales dalla presidenza, dopo inesistenti accuse di brogli, sono stati pubblicati gli audio relativi alle conversazioni della “cupola” dentro gli apparati di sicurezza, che dimostrano come tutto era stato preparato nei minimi dettagli grazie all’addestramento a stelle e strisce.



Il programma APALA

Ma non è finita qui. Si, perché gli apparati di polizia di dieci paesi latinoamericani sono costantemente formati dall’APALA, con sede a Washington. Mediante questo programma di sicurezza multidimensionale, veengono costruite relazioni e connessioni tra le autorità statunitensi e i funzionari di polizia dei paesi membri dell’OSA. I dieci paesi in questione sono: Brasile, Bolivia, Colombia, Cile, Ecuador, El Salvador, Panama, Perù, Messico e Repubblica Dominicana. E’ in questo contesto che vengono insegnate le tecniche di controinsurrezione. Questo programma, negli ultimi anni, ha generato i cambi di regime e le operazione di controinsurrezione ad Haiti e Honduras.

Ma la perla di questa storia deve ancora arrivare. Quattro dei comandanti della polizia boliviana, addestrati dall’FBI, sono stati tra i protagonisti del golpe contro Morales: il generale Remberto Siles Vasquez, il colonnello Julio César Maldonado Leoni, il colonnello Oscar Pacello Aguirre, il colonnello Teobaldo Cardozo Guevara. Questo si potuto sapere grazie alle rivelazioni di alcuni media latinoamericani, come El Periodico, che hanno pubblicato degli audio in cui viene perfettamente svelato il complotto tra forze dell’ordine, militari e milizie.

Ma da questi audio viene a galla un altro nome pesante, quello dell’ex candidato alla presidenza Manfred Reyes Villa, il cui ruolo centrale nella trama del golpe lo inserisce appieno tra le menti strategice. Anche perché Villa risulta proprio essere un ex studente della WHINSEC…

Articolo di Marco Marano
FONTE: The Gray Zone, El Periodico
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È un colpo di stato fascista quello che ha costretto alle dimissioni e alla fuga il presidente boliviano Evo Morales. Un colpo di stato d’estrema destra orchestrato da una destra populista, bianca e oligarchica, con la connivenza aperta degli Stati Uniti.
Voglio ricordare che la Bolivia possiede da sola più del 40% delle riserve di Sali di litio del mondo …e il litio sarà presto il carburante del mondo...








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