Hebron, repressa con violenza
manifestazione cittadina
di solidarietà con prigionieri palestinesi
Al – Khalil (Hebron) – InfoPal. Questo pomeriggio, a Beit Umar, quattro cittadini palestinesi, tra cui un bambino, sono rimasti feriti a seguito di un attacco dei soldati israeliani contro una protesta di solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame da 25 giorni.
Durante l’assalto, le forze di occupazione hanno lanciato gas lacrimogeni, aggredito e arrestati alcuni manifestanti.
Yousef Abu Marya, coordinatore della campagna cittadina di Beit Umar, ha dichiarato che l’occupazione ha represso la marcia di solidarietà con i prigionieri, e il tentativo di raggiungere le terre confiscate nella cittadina vicino alla colonia di “Karmi Tsur”.
Abu Marya ha spiegato che i 4 feriti sono Musa Abu Marya e Ayman Awad Abu, un ragazzino di 14 anni, Hamza al-Hashem, e uno straniero. Essi sono stati feriti con bastoni e calci di fucile.
Le truppe di occupazione hanno arrestato il segretario del Comitato popolare di Beit Umar, Ahmad Khalil Abu Hashem (45 anni), durante la manifestazione che è iniziata con una visita alle famiglie dei martiri e dei feriti, e a cui ha partecipato anche Khader Adnan, leader del movimento “Jihad Islamico”, liberato dalle prigioni israeliane poche settimane fa dopo uno sciopero della fame a oltranza.
Sciopero della fame palestinese
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APPELLO DI
Solidarietà ai prigionieri palestinesi in sciopero della fame
Vauro Senesi
Migliaia di prigionieri palestinesi in sciopero della fame e nessuno ne parla: spezziamo il silenzio!
Federica Pitoni, Mezzaluna Rossa Palestinese-Italia -palestinarossa.it
E’ dal 17 aprile, Giornata dei
Prigionieri Palestinesi, che nelle carceri israeliane migliaia di
detenuti palestinesi digiunano per protestare contro il regime disumano
cui sono sottoposti.
Sono circa 6.000 i prigionieri
palestinesi detenuti in 17 carceri, compresi donne e bambini. 330 sono
trattenuti in detenzione amministrativa senza che siano state avviate
accuse formali contro di loro. La detenzione amministrativa può
durare anche anni e può essere prorogata da una corte militare, senza
che ci sia possibilità di appello. E’ superfluo ricordare come un simile
regime carcerario violi tutti i trattati internazionali per i diritti
umani. Tra i detenuti palestinesi, 28 sono membri eletti del Parlamento,
tra cui tre ex ministri. Vi sono anche Marwan Barghouti, leader di Al
Fatah, condannato a più di cinque ergastoli, e Ahmad Sa’adat, leader del
Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, condannato a 30
anni. Ad oggi metà dei prigionieri è entrato in sciopero.
Quello che chiedono con questo
sciopero della dignità e della fame i detenuti palestinesi è solidarietà
internazionale e riconoscimento delle loro richieste:
1) la fine della politica di isolamento
che viene utilizzata per deprivare i prigionieri palestinesi dei propri
diritti; 2) il permesso alle famiglie dei prigionieri provenienti da
Gaza di visitare i propri parenti, diritto che viene negato da oltre sei
anni; 3) il miglioramento delle condizioni di vita nelle prigioni e la
fine della “legge Shalit” che vieta quotidiani, materiali di studio e
canali tv; 4) la fine delle politiche di umiliazione a cui i prigionieri
e le loro famiglie sono sottoposti: perquisizioni fisiche, raid
notturni e punizioni collettive.
Dal 1967 ad oggi, si stima che
almeno il 20 per cento della popolazione palestinese in Cisgiordania e
nella Striscia di Gaza abbia subito un arresto. La Quarta
Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei Civili in tempo di
guerra all’articolo 76 recita che: “Le persone protette accusate di
reati saranno detenute nel paese occupato, e se condannate, dovranno
scontarvi la loro pena”. Israele, in palese violazione di questo articolo, tiene questi prigionieri fuori dal territorio occupato;
all’articolo 49 la Convenzione ribadisce: “I trasferimenti forzati, di
massa o individuali, come pure la deportazione di persone protette fuori
dal territorio e a destinazione della Potenza Occupante o di quello di
qualsiasi altro stato, occupato o no, sono vietati, qualunque ne sia il
motivo”. All’articolo 32 si vieta esplicitamente “omicidio, tortura,
punizioni corporali e ogni altra brutalità compiuta da agenti civili o
militari”: sono centinaia i prigionieri palestinesi morti a causa delle
torture subite.
Nella giornata del 29 aprile Ahmed
Sa’adat, detenuto nel carcere di Raymon, è stato trasferito in ospedale a
causa dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute per il prolungato
sciopero della fame. Come lui, molti altri prigionieri sono allo stremo e
vedono le loro condizioni di salute peggiorare giorno dopo giorno.
Tutto questo accade nel perfetto silenzio dei media internazionali. Pochissimi giornali hanno riportato la notizia di questo grande sciopero della fame.
Vogliamo provare a spezzare questo
silenzio e chiediamo a tutte le forze politiche italiane, alle
associazioni, ai giornalisti, alla società civile italiana di non
rendersi complici di questo silenzio. Lo facciamo con questo articolo e
cercheremo ogni mezzo per superare la barriera del silenzio, quel muro
di gomma contro cui sempre, da decenni, i palestinesi vedono infrangersi
le loro ragioni. Vi chiediamo solamente di parlarne, vi
chiediamo di informare l’opinione pubblica, vi chiediamo una presa di
posizione. Questo è quanto vogliono e chiedono i prigionieri palestinesi
dalla Comunità Internazionale. Questo è quanto ogni palestinese, della
diaspora e in Palestina, vi chiede.
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Dal 17 aprile 2012, giornata internazionale dei prigionieri politici, oltre 2.500 detenuti palestinesi sono in sciopero della fame per protestare contro il trattamento inumano a cui sono sottoposti nelle carceri israeliane e contro l'uso della detenzione amministrativa che consente a Israele di imprigionare i Palestinesi, senza precise accuse (considerate "segrete" da Israele) e senza processo, per un periodo di 6 mesi, rinnovabili all'infinito.
I prigionieri in sciopero della fame vengono puniti con l'isolamento in celle senza acqua né luce o con il trasferimento in altre prigioni non comunicate. Inoltre, a loro non è consentito essere curati da un medico di loro fiducia. Un comportamento che viola tutte le leggi internazionali, la Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Quattro di questi prigionieri sono stati ricoverati in ospedale; i più gravi sono Bial Diab e Thaer Halahleh, al 75° giorno di sciopero della fame. https://www.facebook.com/events/368316756538398/?notif_t=plan_user_joined
Il 3 maggio, per questi due prigionieri si è tenuta l'udienza, presso l'Alta Corte israeliana, che doveva decidere sulla loro detenzione amministrativa. Entrambi sono stati portati all'udienza in sedia a rotelle. Bilal è svenuto e non c'erano medici presenti in aula; Thaer ha testimoniato sui maltrattamenti subito dal momento del suo arresto.
Il Giudice Ammon Rubinstein ha annunciato che la giuria avrebbe adottato una decisione, dopo aver esaminato il "fascicolo segreto" e che le parti sarebbero state informate della decisione in seguito, senza indicare quando.
Molti sono i palestinesi che manifestano in sostegno di questi prigionieri che hanno scelto di usare questo metodo nonviolento, iniziato da Khader Adnan, per ribadire la propria dignità e per essere trattati secondo le norme del diritto internazionale umanitario. Qui, le dichiarazioni di Richard Falk, delegato ONU per i Diritti Umani in Palestina http://www.giornalettismo.com/archives/286640/io-disgustato-dalle-carceri-isr... (link originale: http://richardfalk.wordpress.com/).
Durante la manifestazione del 2 maggio, davanti alla prigione di Ofer, una ragazza è riuscita a salire su un mezzo militare (un mezzo che lancia getti d'acqua mista a sostanze chimiche sconosciute che lasciano un odore nauseabondo addosso, per una settimana) e a sventolare la bandiera palestinese. Quando è scesa, i militari hanno spruzzato il peperoncino addosso a lei e agli altri manifestanti che la proteggevano. video: www.youtube.com/watch?v=C4C8_dyIiHw
Prof. Henry Siegman, ordinato rabbino ortodosso dalla Yeshiva Torah Vadaath e cappellano militare nella guerra di Corea, è stato Executive Director dell’American Jewish Congress (dal 1978 al 1994) e del Synagogue Council, Senior Fellow al Council on Foreign Relations. I suoi scritti sono pubblicati dai maggiori quotidiani Usa e dalla New York Review of Books. Il prof Siegman ha scritto: «I fondatori del sionismo furono fra i leader più illuminati e progressisti del mondo ebraico…loro non erano razzisti… Ma il governo Nethanyahu ha provato che, benché il sionismo non sia razzismo, ci sono dei sionisti che sono razzisti. Nel 1980 molti nell’establishment ebraico americano parteciparono alle dimostrazioni contro il regime dell’apartheid in Sud Africa. La battaglia contro l’apartheid era considerata – non solo dai liberals – una causa ebraica. Oggi in Israele l’apartheid, non è una possibilità futura come molti non hanno smesso di ammonire, ma è una realtà attuale. Nethanyahu e il suo governo si sono impegnati a travestire il loro regime di apartheid de facto fingendo che lo status quo nei territori occupati sia temporaneo… ».
In questo regime di apartheid creato progressivamente dal governo Nethanyahu vedono la luce tutte le vessazioni tipiche di tali regimi. Oggi, detenuti palestinesi in sciopero della fame per protestare contro le illegali detenzioni amministrative e le brutali condizioni di detenzione, subiscono ogni sorta di violenza punitiva fisica e psicologica, due di essi Bilal Thaer e di Diab Halahleh, in sciopero da 67 giorni rischiano la vita. Il silenzio dei grandi della terra è assordante.
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