Massimo Ponzoni, consigliere e sottosegretario regionale Pdl,
straordinario collettore di voti per "il grande capo Formigoni" in
Brianza, già assessore lombardo all'Ambiente e alla Protezione civile:
arrestato dai magistrati di Monza per una valanga di tangenti
urbanistiche e per due bancarotte immobiliari, con imprese svuotate per
finanziare le campagne elettorali. Franco Nicoli Cristiani, ras del Pdl a
Brescia, consigliere regionale e assessore all'Ecologia nelle prime
giunte Formigoni: incarcerato dai giudici di Brescia e Milano subito
dopo aver intascato una mazzetta di 100 mila euro (e ne aspettava altri
100 mila) per autorizzare una discarica fuorilegge di scorie d'amianto.
Pierangelo Daccò, imprenditore-faccendiere internazionale di stretta
osservanza ciellina, proprietario dello yacht di una delle tante vacanze
gratuite del governatore lombardo: arrestato da altri magistrati
milanesi per traffici milionari di fondi neri, prelevati dalle casse
dell'indebitatissimo ospedale San Raffaele.
Tre nomi, tre
inchieste che marcano solo alcuni dei passaggi più recenti delle
tempeste giudiziarie che da mesi scuotono i vertici della Regione
Lombardia. Imbullonato dal 1995 alla poltrona di presidente, Roberto
Formigoni da Lecco, 64 anni, oggi è un politico assediato dagli
scandali. Se n'è accorto anche Umberto Bossi ("Ormai ne arrestano uno al
giorno") che ha rumorosamente minacciato di togliere l'appoggio della
Lega e far crollare la giunta. A rischio di scatenare un regolamento di
conti nel centrodestra in tutto il Nord. Forte del potere garantito
dalla poderosa macchina del consenso targata Comunione e liberazione, il
"celeste" governatore resta trincerato in cima al grattacielo più alto
della metropoli (si è fatto costruire un apposito Pirellone-bis,
naturalmente con soldi pubblici), ma mostra tutto il suo nervosismo
gridando al complotto di inesistenti giudici comunisti, gli stessi che
avevano chiesto il carcere per il suo sfidante di sinistra Filippo
Penati. E per la prima volta dichiara che potrebbe non ripresentarsi nel
2015, con la malcelata speranza di ricompattare la sua base, superare
la bufera e puntare su Roma. Gli scandali però si moltiplicano. Dalla
sanità alle grandi opere, dai rifiuti alla mafia. Gli sviluppi delle
tante inchieste aperte restano imprevedibili. E un colpo di scena
inatteso, che "l'Espresso" è in grado di rivelare, arriva dalla
Svizzera.
Pochi giorni fa i giudici elvetici hanno
trasmesso ai pm milanesi nuovi documenti bancari, che sembrano quasi la
fotografia di un peccato originale. Un sistema di conti esteri che per
almeno un decennio, quello dell'ascesa e consacrazione del governatore
lombardo, ha nascosto e custodito un fiume sotterraneo di finanziamenti
che irrorava una specie di cupola di Cl. Soldi versati segretamente da
aziende del gruppo Finmeccanica, compresa l'ormai famosa Selex (già
Alenia), e dai petrolieri italiani coinvolti nello scandalo Oil for
food. Ora le carte documentano che il conto più importante era gestito
da due tesorieri ciellini. Almeno uno di loro, negli stessi anni, viveva
vicino a Formigoni. Molto vicino. Praticamente sotto lo stesso tetto.
Via
Dino Villani è una strada a gomito tra il centro e la periferia nord di
Milano, a cinque minuti di macchina dalla Regione. L'immobile con le
finiture più ricche è un palazzo a forma di "L", protetto da un alto
muro di cinta che lascia intravedere solo il parco e i comignoli dei
camini. "C'era anche una piscina", racconta un vicino. Ma chi è il
proprietario? E chi ci vive? A rispondere è un ex custode: "Era di
Ligresti. Poi è diventato la villa del presidente Formigoni, che ha
abitato qui per molti anni. Ora l'immobile è stato ristrutturato e
diviso in appartamenti messi in vendita".
Le visure
catastali documentano che il palazzo era ed è tuttora di proprietà
dell'Immobiliare Costruzioni (Im.co), la scatola edilizia della famiglia
Ligresti. La ristrutturazione, stando ai ricordi dei vicini, sarebbe
partita poco dopo i primi articoli di stampa sul ruolo di tre amici di
Formigoni nello scandalo Oil for food.
Finora si sapeva
che gli assessori ciellini all'urbanistica milanese, da Maurizio Lupi in
poi, facevano il possibile per aiutare i maxi-progetti del costruttore
siciliano, che da re del mattone è nel frattempo diventato imperatore
dei debiti. Ma si ignorava che negli stessi anni Formigoni in persona
fosse, nella migliore delle ipotesi, inquilino di Ligresti. Visti gli
autorevoli precedenti di Scajola e Tremonti, però, non si può escludere
che lo fosse a sua insaputa. Anche perché quel palazzo non ospitava solo
lui: almeno fino all'autunno 2006, quella era una casa-comunità dei
Memores Domini, l'associazione che organizza i ciellini più devoti,
quelli che convivono in gruppi chiusi che ricordano i "numerari"
dell'Opus Dei o i "sigilli" di don Verzè.
Insieme a
Formigoni, allo stesso indirizzo di via Villani 4 ha vissuto per anni
Alberto Perego, un fiscalista milanese degli studi Sciumè e Interfield.
Lo dichiara lui stesso, il 13 ottobre 2006, deponendo in procura come
testimone nell'inchiesta Oil for food. Il pm gli chiede se per caso è
lui a essersi intestato, per conto dei Memores, un deposito svizzero
chiamato Paiolo: è il forziere dove tra il 1994 e il 2004 sono finiti,
tra l'altro, 829 mila dollari versati dalle industrie militari del
gruppo Finmeccanica. Perego conferma di far parte dei Memores, spiega
che nella casa-comunità di Formigoni viveva anche il suo segretario
Fabrizio Rota, ma smentisce qualsiasi pasticcio elvetico: "Non ho mai
avuto conti esteri né alcun rapporto con Finmeccanica". Il pm Alfredo
Robledo, sulla base di altri documenti e testimonianze, lo indaga per
falsa testimonianza. Ora sta per aprirsi il processo. E la Svizzera, il
12 gennaio scorso, ha finalmente trasmesso il documento ufficiale con i
nomi dei beneficiari del conto Paiolo, aperto nel lontano 1991, prima di
Tangentopoli, alla Bsi di Chiasso.
Il primo titolare è
proprio Alberto Perego. Ma la vera sorpresa è che il conto Paiolo,
quello che ha custodito fino al 2004 i soldi di Finmeccanica poi
travasati verso ignote destinazioni, ha anche un secondo contitolare. Un
altro tesoriere occulto di Cl, secondo l'accusa. Che almeno per ora
resta senza identità: le autorità svizzere hanno cancellato il suo nome
dalle carte. E la procura di Milano non ha fatto una piega, perché
rientra nelle regole del gioco: è il segno che si tratta di una persona
che finora non è mai emersa nelle indagini italiane. Per cui ha diritto
di restare protetta dal segreto bancario svizzero. Morale: nella saga
dei conti esteri dell'aristocrazia ciellina, spunta un nuovo mister X
delle tangenti bianche.Sul governatore assediato, però, incombono
emergenze giudiziarie più gravi del processo all'amico Perego, destinato
a quasi sicura prescrizione.
Non a caso Formigoni,
mentre è costretto a contare i suoi ex assessori arrestati (compreso
Piergianni Prosperini, già condannato), ora ammette addirittura che
forse fu "un errore" ricandidare Nicoli Cristiani, un berlusconiano
sceso a patti con Cl senza farne parte, o Ponzoni, che però faceva
comodo come recordman delle preferenze, tanto da riconquistare un posto
in lista nel 2010, quando era già notoriamente indagato (oltre che
intercettato con i suoi amici imprenditori della 'ndrangheta). Il
governatore però non parla mai di mariuoli, mele marce o traditori. E
non solo perché sa che molti degli attuali detenuti politici erano
generosi anche con lui.
Come dimostrano le foto, scoperte
da "l'Espresso", di Formigoni in costume da bagno sullo yacht di Daccò.
O la testimonianza dell'imprenditore pentito che, per comprare "al
presidente" un regalo da 12 mila euro, giura di essersi fatto
accompagnare in gioielleria dal suo portaborse, in compagnia di Ponzoni.
Il
problema più grave, come osserva Bossi con il consueto garbo, è che la
lista degli indagati e arrestati continua ad allungarsi. E oltre ai
personaggi più in vista comprende molti altri nomi di sicura obbedienza
ciellina.
Qualche esempio? Antonino Brambilla, nominato
assessore della Provincia di Monza nonostante la condanna definitiva di
Tangentopoli (mazzette sui rifiuti ai tempi dell'emergenza discariche a
Milano), è stato appena riarrestato come presunto complice di Ponzoni.
Il vicedirettore dell'Arpa, l'agenzia regionale deputata a difendere i
lombardi dagli inquinatori, dopo le manette sta vuotando il sacco sulle
tangenti all'amianto di Nicoli Cristiani. Antonio Chiriaco, manager
calabrese di cliniche lombarde, promosso direttore sanitario della
ricchissima Asl di Pavia con nomina "fiduciaria" della giunta Formigoni,
è in galera dal 2010 non per concorso esterno, ma come mafioso organico
della 'ndrangheta. Rosanna Gariboldi, assessore del Pdl pavese fino al
giorno dell'arresto e moglie del parlamentare Giancarlo Abelli, uno dei
più potenti alleati del governatore, è stata già condannata a due anni
di reclusione: riciclava sul suo conto a Montecarlo i fondi neri di
Giuseppe Grossi, il re degli inceneritori targati centrodestra,
scomparso per malattia mentre era indagato per colossali
disinquinamenti-fantasma, con frodi fiscali e corruzioni da Milano a
Sesto.
Ognuna di queste inchieste potrebbe far partire un
effetto-valanga. E a questo punto molti altri imprenditori agganciati
alla Compagnia delle Opere, il carro economico di Cl, ora temono le
manette per tangenti ambientali o edilizie. Costruttori, disinquinatori e
asfaltatori sono terrorizzati dalla scoperta che nelle inchieste
sull'urbanistica regionale c'è almeno un pentito con i verbali coperti
da "omissis". Mentre i fornitori sanitari sono impressionati dal vortice
di fatture false, fondi neri e spese pazze emerso sullo sfondo delle
rovine del San Raffaele, l'ospedale che per Formigoni era "il fiore
all'occhiello della sanità lombarda". E che in realtà ha accumulato un
passivo - scoperto solo dopo il suicidio del manager Mario Cal - di un
miliardo e mezzo di euro. Anche se incassava la bellezza di 600 milioni
all'anno di rimborsi sanitari pubblici, per tre quarti garantiti dagli
amici ciellini della Regione Lombardia.
Va sottolineato
che Formigoni in passato è sempre stato assolto e allo stato non risulta
neppure indagato. Il suo nome però continua a ripetersi anche nelle
indagini più spinose. Un esempio? Pierluca Locatelli, l'imprenditore che
ha corrotto Nicoli Cristiani, nel novembre scorso cercava una
raccomandazione per i primi maxi-appalti dell'Expo 2015. Intercettato,
ne parla con un funzionario corrotto. Che gli riferisce di aver
interessato "Paolo Alli", il sottosegretario ciellino che sta diventando
il braccio destro di Formigoni. E com'è andata? "Il presidente ha dato
l'ok", assicura il funzionario corrotto dell'Arpa. Per adesso sono
soltanto parole. Intercettazioni che attendono riscontri. Ma in Regione
Lombardia, dopo vent'anni di affari in libertà, con la crisi sembrano
tornati i tempi di Mani Pulite.
fonte L'Espresso
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http://cipiri.blogspot.com/2012/01/formigoni-dimissioni-e-subito-al-voto.html
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