La strage di piazza della Loggia è stato un attentato terroristico compiuto il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista con la presenza del sindacalista della CISL Franco Castrezzati, dell'on. del PCI Adelio Terraroli e del segretario della camera del lavoro di Brescia Gianni Panella. L'attentato provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre centodue.
Questa mattina alle nove e
trenta alcune centinaia di attivisti del Kollettivo Studenti in Lotta e
del centro Centro Sociale Magazzino 47, insieme ad altre realtà
antagoniste della città - sindacati di base, gruppi della sinistra -
erano partiti in corteo da Piazza Garibaldi con l'intenzione di arrivare
in Piazza della Loggia, per ribadire che le responsabilità della strage
del 28 maggio del 1974 sono da addebitare allo Stato e ai suoi
apparati. E anche per contestare le politiche di massacro sociale
imposte dal governo Monti. Con loro tante bandiere, ad esempio quelle
dei No Tav, e qualche rete metallica da utilizzare per parare i colpi
dei manganelli, visto che la Questura aveva già avvisato i manifestanti
che non gli avrebbe permesso di entrare in piazza. Ed infatti quando gli
studenti sono arrivati in corso Matteotti i cordoni dei Poliziotti
hanno cercato di impedire che il piccolo corteo potesse partecipare alla
celebrazione a suon di bastonate.
Ma nonostante le nuove cariche
una volta arrivati in piazza e il minaccioso schieramento dei cordoni
del servizio d'ordine dei sindacati confederali, alla fine studenti e
altri attivisti si sono ricompattati e sono riusciti a fare il loro
ingresso in Piazza della Loggia e a dirigersi verso la stele che riporta
i nomi delle vittime della bomba di 38 anni fa. "Ci siamo presi piazza
della Loggia – ha gridato uno dei manifestanti col megafono –
ricompattiamoci e rendiamo omaggio ai nostri morti, nostri e non del
ministro dell'Interno".
E dire che il messaggio inviato per l'occasione al sindaco della
città da Giorgio Napolitano davano ragione ha chi chiede finalmente
verità e giustizia. “Il corso della giustizia deve, pur nei limiti in
cui è rimasto possibile, continuare con ogni scrupolo e, nel contempo va
peró fin da ora messo in luce quanto è emerso” sulla “matrice di
estrema destra neofascista” e “sugli ostacoli che una parte degli
apparati dello Stato frappose alla ricerca della verità” aveva affermato
nel suo messaggio il Presidente della Repubblica.
Ma di fronte alla recente assoluzione dei colpevoli dell'eccidio e
alla blindatura della piazza le parole del capo dello Stato e quelle
proferite dal vivo dal Ministro degli Interni erano suonate come un
paradosso, un affronto alla memoria e alla dignità delle vittime e dei
loro parenti.
«Siamo costernati di essere a Brescia oggi senza
verità» aveva detto Anna Maria Cancellieri, aggiungendo: «La verità a un
certo punto sembrava arrivare. Il messaggio che deve passare è che non
abbiamo nessuna intenzione di arrenderci. La verità arriverà. È un
dovere e non possiamo trascurare nessun impegno per arrivare alla
soluzione».
Strage di Brescia, nessun colpevole.
Ma la strategia della tensione è finita?
A Brescia in piazza
della Loggia il 28 maggio 1974 si svolgeva una manifestazione sindacale
antifascista. Per sostenere il processo di emancipazione del Paese che
la Strategia della tensione con le sue bombe cercava di bloccare.
C’era
stata Piazza Fontana il 12 dicembre del 1969, a Milano, nella sede
della Banca dell’Agricoltura, per far credere che fosse la sinistra a
colpire il capitale anche nella piccola imprenditoria che a quella banca
si rivolgeva. Sedici morti e 88 feriti. A seguire la morte di Pinelli
in questura quattro giorni dopo e l’arresto di Valpreda…
C’era
stato il 22 luglio 1970 di Gioia Tauro col deragliamento della Freccia
del Sud. Ancora una bomba seminava terrore colpendo un treno di
lavoratori: 6 morti e oltre 60 feriti. Pochi giorni prima era iniziata a
Reggio Calabria la rivolta campanilista dove in inquietanti intrecci
tra mafia e fascismo si cavalcava il disagio meridionale al grido di
“Boia chi molla”.
Il messaggio era chiaro: state lontani da qui
perché è “cosa nostra”. Ma si preferì accreditare il deragliamento per
incidente, anche dopo una illuminante perizia del 23 giugno 1973, che
chiarisce come «la deformazione della piastra prelevata in
corrispondenza della rotaia con suola danneggiata è da attribuirsi
sicuramente all'azione dell'esplosione e non all'urto del materiale
rotabile».
Se per piazza Fontana si era individuato negli anarchici
Pinelli e Valpreda (innocenti) il facile bersaglio, per Gioia Tauro sono
i ferrovieri, più evocativi di “rossi pericolosi” per l’immaginario
perbenista. E quattro ferrovieri innocenti vengono incriminati…
Intanto
però, anche la pista nera qualcuno cominciava coraggiosamente a
batterla. Gli strateghi si sentono in pericolo, e mandano il loro
segnale di morte ai brigadieri che indagano. Ed è la strage di Peteano:
il 31 maggio 1972 tre carabinieri sono fatti saltare in aria da un’altra
bomba opportunamente posta nel bagagliaio di un’automobile che
avrebbero dovuto perquisire. Un avviso chiaro, come dichiarerà il
pentito neofascista Vinciguerra: lasciate stare i neri! Le indagini
della Magistratura confermeranno, visto che nel 1987 due alti ufficiali
dei carabinieri sono condannati a dieci anni e mezzo di reclusione per
deviazione e depistaggio su questa strage. Dietro di loro un altro
generale, Giovambattista Palumbo, che però non potrà testimoniare,
perché deceduto. “Stragi di Stato”?
L’Italia civile e democratica
sa e vuole giustizia. Le manifestazioni antifasciste e in difesa della
Costituzione repubblicana si susseguono: per la libertà, per i diritti,
per la democrazia.
A Brescia in quel piovoso martedì del 28 maggio
1974 sono i sindacati a chiamare a raccolta nella splendida Piazza della
Loggia. Ma le mani assassine della Strategia della tensione stanno in
agguato. Un’altra bomba, questa volta nascosta dentro un cestino di
rifiuti lascia a terra 104 feriti e 8 morti: Livia Bottardi (32 anni) -
Giulietta Banzi Basoli (34 anni) - Clementina Calzari (31 anni) -
Alberto Trebeschi (37 anni) - Luigi Pinto (25 anni) - Euplo Natali (69
anni) - Bartolomeo Talenti (56 anni) - Vittorio Zambarda (60 anni).
Stranamente
i pompieri azionano le loro pompe. Così oltre al sangue che potrebbe
impressionare i passanti (questa è una delle dichiarazioni di getto
della polizia a chi chiedeva di far chiudere gli idranti), anche i resti
dell’ordigno sono spazzati via.
Altra stranezza: ci sono pochissimi
carabinieri in piazza. Il loro capitano, Francesco Delfino, è in
Sardegna, e quasi tutto il suo reparto è stato inviato a un corso di
formazione.
Delfino ha nostalgie fasciste e le mani in pasta con i
servizi segreti. Il suo nome che ricorre in molte inchiesta sulle
stragi, oltre a quella di Brescia, è rimbalzato anche sulle pagine di
cronaca nera in occasione del rapimento di Giuseppe Soffiantini (1997).
Delfino è ormai generale (ha fatto carriera) e viene accusato di aver
estorto alla famiglia del sequestrato, per favorirne il rilascio, quasi
un miliardo di lire. Per questo reato nel 2001 è stato condannato
definitivamente in Cassazione a 3 anni e 4 mesi di carcere.
Ma
dalla strage di Brescia, grazie alla recente sentenza del 14 aprile 2012
della Corte d’Appello d’Assise, Delfino esce assolto. E con lui gli
altri imputati che la trama nera lega in quegli anni e i cui nomi, come
quello di Delfino, ricorrono nelle indagini della Magistratura e negli
atti delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta.
Carlo Maria Maggi della cellula veneta di Ordine Nuovo.
Delfo
Zorzi, anch’egli ordinovista e che oggi fa tranquillamente
l’imprenditore a Tokyo. Il suo nome nuovo è Hagen Roi, ha preso la
cittadinanza giapponese, che lo ha protetto dal pericolo di estradizione
per presentarsi ai processi in Italia.
Maurizio Tramonte, neofascista e strutturale collaboratore dei Servizi segreti.
Col Generale Delfino, tutti assolti! Per insufficienza di prove!
Già
le prove… ma gli stragisti fanno le cose “pulite”, anche per la rete di
connivenze e complicità di quegli apparati dello Stato, che si continua
ipocritamente a chiamare deviati, come se le persone ai vertici non
fossero gli stessi inquietanti personaggi opportunamente selezionati per
occupare quei gangli vitali nella pericolosa partita del gioco delle
parti tra “Gladiatori” e paraventi di “Stato deviato”.
Tutto noto! Lo sapevamo. Lo sappiamo, come urlava Pasolini nel suo terribile “Io so”.
È Storia, che tutti possono studiare.
Allora
è indecente che le stragi continuino a restare una verità nascosta, per
gli omissis mai fino in fondo sottratti alla coltre di filo spinato del
“segreto di stato”.
Così continuano a restare impuniti gli
assassini che sia come manovalanza che come ideologi e funzionari, sono
stati i protagonisti di quella Strategia della tensione (continuata
negli anni Ottanta e forse oltre ancora) che cercava di bloccare il
processo di emancipazione dell’Italia nella svolta progressista laica e
libertaria di quei formidabili anni Settanta. Una svolta progressista
che si chiama parità, uguaglianza, diritti per le donne, i giovani, i
lavoratori.
Una rivoluzione copernicana per la democrazia, che
ancora oggi qualcuno ha interesse a demonizzare sferrando un mortale
attacco proprio ai diritti conquistati in quegli anni di azione
collettiva. E nella resa dei conti chiama a paravento questa volta la
crisi. Una crisi che non hanno certo prodotto i cittadini, ma governanti
e imprenditori presi dalla sindrome del liberismo selvaggio, e che oggi
di fronte al default del neocapitalismo non vogliono affrontare il
problema dell’equità sociale per continuare a star seduti sul velluto.
La
Strategia della tensione di oggi è allora la bomba ad orologeria del
lavoro precario e senza tutele, proposto paradossalmente come panacea
per superare la crisi. È lo spauracchio della precarietà, che nella
perdita di diritti e dignità, fa accettare ogni condizione di
precarietà. La sostanza non cambia, c’è anche chi la chiama
ipocritamente “flessibilità”.
Oggi, in nome della crisi, un
padronato sempre più arrogante sembra voler far credere con il
collaborazionismo di una classe di governo che ne è l’espressione, che
gli anni Settanta sono roba vecchia, e che tutto sommato chi faceva
saltare in aria i lavoratori che allora si chiamavano compagni come in
quel 28 maggio del 1974 a Piazza della Loggia è roba passata. Roba da
dimenticare.
E c’è da aspettarsi che prima o poi, come per le
stragi nazifasciste, qualcuno dica dei vari Delfino, Zorzi, Maggi… che
in fondo sono poveri vecchi da lasciare in pace.
di Maria Mantello
http://temi.repubblica.it/micromega-online/strage-di-brescia-nessun-colpevole-ma-la-strategia-della-tensione-e-finita/